Nuovo produttore di formaggi, questa volta senza certificazione biologica, ma debitamente certificato da Stefano, anzi questa meravigliosa mozzarella di bufala mi è stata portata da lui stesso, quindi è assolutamente degna della massima fiducia!

Il caseificio Domenico Romagnuolo si trova a Serre, in provincia di Salerno, vicino a Paestum, al confine con il Parco Nazionale del Cilento, a circa 700 metri sul livello del mare. È proprio in questi luoghi che a suo tempo nacque la tradizione della mozzarella.

Il latte viene raccolto ogni giorno dalle aziende che si trovano nelle zone immediatamente limitrofe (tutte a conduzione familiare, con una media di trecento bufale ognuna), dove le bufale pascolano all’aperto e mangiano foraggi prodotti dagli stessi allevatori, e stoccato a 4 gradi di temperatura. Alle due di notte il latte crudo viene riscaldato a 38°C, e vengono aggiunti un caglio (animale, proveniente dall’abomaso dei vitelli) e un sieroinnesto (è il siero concentrato che rimane nei tini quando si prepara la mozzarella – se ne usano venti litri ogni cinque quintali di latte) naturali.

Il tutto viene mescolato molto bene e lasciato riposare fino a quando non si rapprende, poi si rompe il coagulo con un apposito attrezzo e si lascia riposare circa quattro ore, durante le quali il coagulo si deposita sul fondo; poi si aspira il siero che si è formato (e si usa per fare la ricotta — come si fa anche in casa, ricordate?) e il latte coagulato rimane sul fondo.

A questo punto la pasta viene “provata”, cioè si prende un pezzettino di cagliata e si mette nell’acqua bollente per vedere se fila nel modo giusto (qui è tutta esperienza del casaro). Se è tutto a posto la pasta viene messa nelle macchine che fanno la filatura (sono delle braccia meccaniche che rimestano). Questa operazione si potrebbe fare anche a mano (con un bastone, ovviamente!), ma ci vorrebbero molti dipendenti (e molto più tempo), e i Romagnuolo comprensibilmente preferiscono rimanere una piccola azienda a conduzione familiare.

Secondo Luca, che è il figlio di Domenico Romagnuolo, che l’azienda l’ha fondata, la mozzarella fatta in questo modo è anche più omogenea come risultato, vale a dire non si corre il rischio che una venga magari più dura o più morbida di un’altra (per le trecce, che vengono fatte sempre a mano, questo discorso non vale – adesso so perché le ho sempre preferite, le trovo più callose, più elastiche). Le macchine provvedono anche alla mozzatura (e anche questa volendo è possibile farla a mano, e lascia un’impronta ben riconoscibile su uno dei lati della mozzarella).

Le mozzarelle vengono poi imbustate insieme a un po’ di “acqua di governo”, che in questo caso è il liquido recuperato dall’acqua bollente avanzata dalla filatura, fatto bollire nuovamente, addizionato di un pochino di sale, e poi fatto riposare fino a quando non raggiunge naturalmente il giusto grado di acidità (man mano che la mozzarella “invecchia” assorbe sempre più sale, ecco perché mangiata molto fresca ha un sapore più dolce). Nelle mozzarelle industriali invece il liquido di governo non è altro che acqua addizionata di acido citrico.

Ed eccovi l’informazione del secolo, assolutamente fondamentale per sapere come conservare la mozzarella di bufala in modo che non diventi una specie di stracchino (avete presente quelle mozzarelle dure fuori, che quando le aprite si sciolgono in una specie di crema? bleahhhh): la mozzarella di bufala *non si mette mai in frigo*.

La temperatura ideale per conservarla è di 12-13°C (al massimo 15°C); un buon escamotage per mantenerla a questa temperatura è immergerla con tutta la busta contenente l’acqua di governo, in acqua fresca, e cambiare l’acqua se si scalda. Ovviamente una mozzarella di questo tipo va consumata al massimo entro tre o quattro giorni dalla data di produzione, ma più è fresca, meglio è (disse La Palisse).

Io per non saper né leggere né scrivere ho fatto pure la prova paltò di Napoleone, anche detta: “piglia queste dita, premi la mozzarella, se cola il latte te la pigli, se no desisti!!!” eheheh :-D

Dopo arrovellamenti vari su come cucinare questa meraviglia ho deciso di sacrificarla dentro una lasagna, ispirata a una lasagna agli asparagi che avevo visto molto tempo fa da Sigrid e che mi ero sempre ripromessa di provare (non mi ricordo nulla, ma quando si tratta di ricette… eh??!), sostituendo gli asparagi con un bellissimo topinambur di cui mi ero appropriata qualche giorno prima da Ercolini.

Se per caso doveste cambiare idea per strada e voleste fare dei bei ravioloni invece delle lasagnette, sappiate che la cosa funziona benissimo lo stesso usando i cerchi di pasta che avete ritagliato e poggiando una bella cucchiaiata di ripieno al centro, upgradata con i dadini di mozzarella e con il timo o la mentuccia e cuocendoli qualche minuto in acqua salata bollente.

La mia pasta è venuta un po’ troppo spessa, se riuscite a farlo stendetela molto più sottile di quella che vedete nella mia foto; sappiate però che anche se era grossetta i ravioloni sono spariti in trenta secondi!

Ingredienti:
per la sfoglia:
200 grammi di farina 1 (io ho usato Floriddia)
2 uova
un pizzico di sale marino integrale

per il ripieno:
400 grammi di topinambour
200 grammi di ricotta di bufala
300 grammi di mozzarella di bufala
un mazzetto di timo fresco (o, se preferite, di mentuccia)
60 grammi di Parmigiano Reggiano
1 spicchio d’aglio
1 limone
2 cucchiai di pinoli
olio extravergine d’oliva
sale marino integrale
pepe nero in grani

Per prima cosa preparate la sfoglia (io l’ho fatta con il kitchen aid e impastata un pochino a mano dopo), avvolgetela nella pellicola senza pvc e lasciatela riposare al fresco (non è necessario metterla in frigo secondo me) per un’oretta. Tagliate la mozzarella a dadini e mettetela a sgocciolare in un colino.

Lavate e sbucciate i topinambour. Sarebbe un’operazione un po’ seccante perché la pellicola è molto sottile e di solito questi tuberi hanno una forma tutta contorta, ma ho scoperto che diventa facilissima grattandoli con un cucchiaino! Man mano che li sbucciate metteteli in una ciotola piena di acqua e limone, altrimenti scuriscono, come i carciofi.

Mettete sul fuoco una padella larga, coprite il fondo con un velo d’olio e aggiungete uno spicchio d’aglio schiacciato e sbucciato. Lasciate rosolare l’aglio nell’olio a fiamma bassissima; appena avrà un colore leggermente dorato, versate nella padella i topinambour sgocciolati e tagliati a pezzetti, e alzate leggermente la fiamma. Salate leggermente e lasciateli soffriggere cinque minuti, o fino a quando avranno un ottimo sapore.

A questo punto trasferite tutto nel mixer e tritate i topinambour con la mentuccia, il basilico, la ricotta, la buccia del limone, un po’ di pepe e un filo di olio d’oliva. Assaggiate e aggiustate di sale e pepe. Cercare di fare in modo in modo che i topinambour, che dovrebbero essere rimasti abbastanza croccanti dopo il breve passaggio in padella, non diventino una crema, ma mantengano un po’ di consistenza.

Oliate delle tegliette di ceramica (o una teglia più grande) e preriscaldate il forno a 180°C.
Stendete la sfoglia con il matterello (va bene anche la sfogliatrice ovviamente), più sottile che vi riesce, poi ritagliatela del diametro delle vostre tegliette, aiutandovi con un coppapasta del diametro giusto.

Cominciate con uno strato di composto al topinambour, poi adagiate una sfoglia di pasta e ricoprite di nuovo con qualche cucchiaio di composto, qualche dadino di mozzarella, una spolverata di parmigiano,qualche fogliolina di mentuccia e un filo d’olio, e così via. Sull’ultimo strato niente mozzarella e niente mentuccia; solo composto, parmigiano, olio e pinoli.

Infornate per una ventina di minuti o fino a quando le lasagnette non avranno un colore (e un profumo) molto appetitoso. Sfornate e servite immediatamente.