La rubrica “Viaggiare leggeri”, per quanto mi riguarda, si è conclusa ben piú di un anno fa. Ma manca un post (il secondo di settembre, per la precisione). In effetti avevo le mie buone ragioni: ero tra il Baltico e l’Italia, con tutte le mie cose e quelle della piccola in una dozzina di cartoni. Un anno dopo, sempre a settembre, ero su un aereo direzione Johannesburg, stavolta con tutte (*tutte* é un termine assai relativo, ho scoperto) le mie cose e quelle della piccola in due-valigie-due da venti chili. Certo, non avró scritto il famoso post mancante, ma non mi si accusi di non aver viaggiato leggera.

incisione rame

Adesso, però, è ora di finirla. E, siccome non sono piú la stessa di un anno fa (come tutti voi, eh, non crediate), non starò lì a raccontarvi di semi e dicembre e attese e capodanni. Per quello ho giá dato, basta guardare l’indice della rubrica e leggere. La conclusione logica non può essere che una: non di cosa, ma del *come*. Il cosa é importante, e figuriamoci se non lo sappiamo, noi lettori del Pastonudo. Ma l’importanza del come la sto imparando a mie spese.

Si sa, fin che non se ne pagano le conseguenze non ci si pensa. E, talvolta, non ci si *vuole* pensare neppure quando le conseguenze ci bussano dal di dentro urlandoci di cambiare il nostro modo di mangiare. Sperimentato a cadenza regolare, anche questo.

Sto approfondendo la conoscenza di un certo Michael D. Gershon, professore presso la Columbia University di New York che, nel 1998, fece scalpore pubblicando il frutto delle ricerche di trent´anni: The second brain (Il secondo cervello). “I nostri due cervelli, quello encefalico e quello del ventre, devono cooperare. Se non succede, nella pancia e nella nostra testa sopravviene il caos”.

Si sa, io sono una empirica, e lo so da me che quando ho paura il mio intestino fa le bizze (si dice, no, che “se l’é fatta addosso dalla paura” ehm… scusate il giro di parole). O che quando faccio qualcosa che mi entusiasma non sento lo stimolo della fame. O che fin dall’antichità si pensava che la pancia fosse la sede delle emozioni, e si potessero prendere “decisioni di pancia”. Ma che l’abbiano dimostrato, ecco, mi dà conforto e sostegno (sì, ne ho ancora bisogno, imparerò pian piano a fidarmi solo della mia pancia ;-)).

L’intestino, quindi, si emoziona, è felice o ha paura. È un cervello vero e proprio (“enterico”, plesso mienterico e submucosale, pare si dica), specializzatosi nel corso dei millenni; più vecchio, quindi, del cervello “di sopra”. E con 100 milioni di neuroni (piú di quelli del midollo spinale).

La natura lo ha incaricato di “elaborare e assorbire le sostanze necessarie alla vita delle nostre cellule” (e fin qui ci siamo), ma questo è un lavoretto da niente, e non giustificherebbe tutti ‘sti neuroni. Le cellule intestinali servono infatti anche per regolare le nostre emozioni, producendo allo scopo neurotrasmettitori e proteine che contribuiscono al sano funzionamento del nostro sistema nervoso centrale (l’addome sarebbe anche in grado di percepire le sensazioni gustative: ricercatori dell’Università di Boston hanno identificato nello stomaco e nell’intestino dei topi i recettori del sapore amaro; come se non bastasse Gershon dimostra che, sia nel morbo di Parkinson che in quello di Alzheimer, la presenza delle caratteristiche placche amiloidi é riscontrata sia nel cervello che nell’intestino).

I due cervelli comunicano principalmente attraverso il nervo vago, chiamato anche pneumogastrico, che parte dalla scatola cranica, scende lungo il collo, attraversa il torace e penetra nell’addome. Percorre il sistema cardiovascolare, respiratorio, digestivo e innerva ghiandole e organi.

C’è un altro libro, molto pratico e semplice, questo (dal quale prendo molte frasi, perché non sono un medico, ma semmai una sorta di divulgatore, e quindi mi è permesso ;-)). L’autore, famoso osteopata francese, riporta l’esperienza di una vita di lavoro pratico, e la sua personale teoria, anticipatrice delle scoperte di Gershon: “curando la pancia, ristabilendone le funzioni spesso alterate (gastrite, colite, colonpatia, costipazione, diarrea, etc) e restituendole la salute, si esercita un’azione benefica, rilassante, curativa, sull’insieme dei disturbi fisici e psichici del paziente, e si rinforzano le difese immunitarie”.

Ma questo lo sapevano anche Freud e Jung che, a quanto pare, mettevano le mani sulla testa *e sulla pancia* dei loro pazienti, durante le sedute. O i massaggiatori (magari shiatsu), che sanno bene quali effetti può avere manipolare la pancia nello sbloccare emozioni sepolte da anni. Nel momento in cui si prova l’esistenza di un’attività chimica reciproca tra i due cervelli, capite anche voi che il *come* diventa di fondamentale importanza.

“Che bisogno c’era di due cervelli?” La risposta del professor Michael Schemann, docente di fisiologia all’Università di Hannover, è di una semplicità commovente (altra lezione sulla via dello sgarbugliamento personale): “Nella scatola cranica tutto non ci stava”. Punto (“Per far passare i collegamenti col resto del corpo il collo avrebbe dovuto avere un diametro enorme. E poi, appena dopo la nascita, il neonato deve mangiare, bere e digerire: meglio che queste funzioni fondamentali siano autonome”. Leggetelo qui).

L’ex pediatra di mia figlia, in Germania, specializzato nei disturbi dell’intestino e del loro collegamento con malattie più disparate (non si tratta solo di intolleranze alimentari, ma anche di otiti, riniti, congiuntiviti ed altri disturbi che *apparentemente* nulla hanno a che vedere con la pancia), mi spiegava che, secondo lui, la prima cosa che il nostro medico di famiglia dovrebbe insegnare a noi comuni mortali, è proprio il modo per tenere la nostra pancia ed il nostro apparato digerente in salute (ho appena visto questo libro qui, in italiano: qualcuno l’ha letto?). Un po’ come la madre spiega al bambino i fondamenti dell’igiene quotidiana, il lavarsi le mani prima di mangiare, il lavarsi i denti dopo. Peccato, mi disse, che quasi tutti i suoi colleghi lo diano per scontato.

Scontato? Ma come???
Per esempio, il vostro medico vi ha mai spiegato che:
– L’addome è strutturalmente e neurochimicamente un secondo cervello, connesso direttamente all’encefalo di cui è il complemento;
– produce, attraverso l’intestino, fra il 70% e l’85% dell’insieme delle cellule immunitarie;
– produce anche cellule “interstiziali”, che hanno un ruolo importante nel funzionamento dei muscoli e delle giunture;
– ospita un’inaspettata e complessa rete di neurotrasmettitori, di neuromodulatori, molecole identiche a quelle del cervello: il 95% della serotonina (che ha un ruolo fondamentale nel funzionamento intestinale: i neuroni situati nella zona dell’intestino dove passa il bolo stimolano delle cellule a liberare serotonina, che a sua volta agisce su altri neuroni che comandano le cellule muscolari, creando il tipico movimento “a bruco”, atto ad espellere le feci), melatonina, acetilcolina, epinefrina, netrine e molte altre. Sostanze psicoattive (oppiacei, antidolorifici, calmanti), e persino le tanto acquistate benzodiazepine!

Forse è più comodo prescrivere queste molecole e mandare i pazienti a comprarsele in farmacia, invece che insegnare ad “autoprodursele in casa”. A costo zero e con enormi benefici. Non vogliamo divulgare la filosofia dell’autoproduzione? Ci mancherebbe che non cominciassimo dalle benzodiazepine! ;-))

Il cervello, i nostri pensieri, le nostre ansie, influiscono sulla digestione e sull’assorbimento-assimilazione dei cibi. E, visto che non è una strada a senso unico, un intestino in disordine produce effetti negativi sul cervello (ansia, attacchi di panico, stanchezza cronica, insonnia…).

Per concludere, lo stato di salute di ogni individuo è indissolubilmente legato all’armonia tra il cervello di sopra e quello di sotto, alla loro comunicazione efficace, efficiente ed equilibrata. Al cosa mangiamo e, naturalmente, al come lo facciamo. Ecco, avrei dovuto scrivere del *come* mangiare. Ma ho sentito il bisogno, prima, di scrivere del perché.

Almeno, io son fatta così, che se so il perché poi le cose mi vengono spontanee (non son brava a ripetere quello che mi dicono di fare, se non ne capisco la ragione). Se avete domande, chiedete pure al vostro medico di famiglia, che lo pagate apposta. Però adesso mi sa che ci vorrá un “secondo-ultimo-post”, senza teorie e con molta pratica, proprio tutto sul come. Oppure lo diamo per scontato anche questo.

p.s.: una domanda mi sorge spontanea: potrebbe essere, allora, che molti disturbi dell’assorbimento/assimilazione (vedi crescita esponenziale delle intolleranze, gastriti, coliti, malattie del pancreas o della colecisti) siano dovuti a situazioni di disordine emotivo, come stress, delusioni, pensieri negativi, paure ed ansie?

Per esempio, è stato scoperto che, se il cervello “di sopra” percepisce tensione e paura, chiama a raccolta le cellule dell’intestino, che si mettono a produrre sostanze irritanti come l’istamina: ora, quanti fra voi non conoscono *almeno* una persona intollerante all’istamina, che gratta e si riempie di macchie rosse appena ingerisce cibi che la contengono?

Nella scuola materna di mia figlia, almeno 3, diagnosticati dal pediatra (ai quali, naturalmente, è stato semplicemente vietato di mangiare cibi contenenti istamina “E più non dimandare”). Da dove sbuca, all´improvviso, tutta ‘sta istamina? Cinquant’anni fa, dove se ne stava?

Dobbiamo evitare i cibi che la contengono perché ne produciamo già abbastanza da soli? Un medico, per favore, che mi spieghi cosa sta succedendo nel magico mondo dell’istamina!