Ho adocchiato queste arance (eh sì, a quanto pare “melangolo” è il nome dell’arancia amara) al mercato di Ponte Milvio, naturalmente al banco di Caramadre, perché avevano un aspetto che ai miei occhi era il più attraente del mondo: tutte bitorzolute, con la buccia che virava dal verde all’arancio, decisamente diverse dalle arance comuni.
marmellata di melangoli
E io *amo* le cose diverse e quindi *strane* (detto con voce da puffo)!!
Pare che siano *molto* difficili da trovare (io non le avevo mai viste prima), perché vengono utilizzate quasi tutte dall’industria farmaceutica per via delle loro proprietà digestive, per il profumo meraviglioso dei fiori e della buccia, e altre innumerevoli qualità.

Se ho ben capito la varietà che utilizziamo normalmente è la Citrus Sinensis, mentre questa si chiama Citrus Aurantium (o arancia amara), ed è l’arancia originaria, che a sua volta è un incrocio tra il pomelo (citrus maxima) e il mandarancio (citrus reticulata), e dalla quale poi sono venute tutte le altre (trovate qualche notizia più specifica sulle tantissime e interessantissime cultivar su questo sito).

Nonché l’arancia dalla quale proviene il mio amato olio essenziale di fiori d’arancio, cioè il Neroli, che ho visto l’altro giorno al bio ad un prezzo veramente esorbitante, cosa che mi ha fatto pensare che devo assolutamente piantare nel centro del salotto un albero di melangoli (insieme a quello di limoni, alla pianta di aloe, alla radice di rafano e al cespuglio di mirtilli che erano già in programma da tempi immemorabili – ommammamia mi sa che devo parlare con Giancarlo).
Guardate la foto: non sono le più belle arance mai viste (ehm… detto da una alla quale piacciono questi gatti – che ci posso fare, li trovo stupendi – non so quanto sia credibile)? Insomma, viste e portate a casa in quantità da prova (circa un chilo e mezzo); ma dopo questa marmellata se le ritrovo ne faccio incetta, giuro!
Due righe su cosa dice il librone della bioterapia nutrizionale riguardo la scorza delle arance. Sempre tenendo presente di non utilizzare agrumi convenzionali, per via dei fungicidi che si trovano sulla buccia d quelli non biologiche (tiabendazolo e difenile), la scorza delle arance è un’ottima risorsa per la nostra salute, perché contiene, in misura maggiore rispetto alla polpa, numerosi olii essenziali, acido citrico (potente astringente che fa precipitare le proteine in albuminati – che formano una membrana protettiva della mucosa, riducendo sia le secrezioni che la peristalsi – fluidifica il sangue, è ipoglicemizzante e potenzia gli enzimi digestivi), e vitamina P (che facilita l’assimilazione della vitamina C, che si trova anche nella buccia).
L’infuso di scorza d’arancia (preso sempre con moderazione, soprattutto se si hanno problemi di ulcera) è aperitivo, digestivo e spasmolitico per il suo contenuto in beta-carotene, vitamina E, acidi malico, tartarico, ossalico, linoleico e palmitico, e per i terpeni, che sono stimolanti gastrici, pancreatici, ortosimpatici, antielmintici, disinfettanti e antispasmodici. I terpeni per inciso pare svolgano anche un’azione anticancerogena; tutti motivi validi per i quali se le bucce se non sono trattate andrebbero senz’altro consumate.
marmellata di arance amare
Devo dirvi però, al di fuori del libro di bioterapia, che ho trovato qualche notizia un po’ inquietante (di cui non posso però garantirvi l’attendibilità) circa l’azione delle scorze delle arance amare in particolare, ad esempio qui e qui.
Pare cioè che la scorza dell’arancio amaro sia particolarmente ricca di sinefrina, una sostanza “anoressizante” che ha un effetto molto simile all’adrenalina, che viene infatti utilizzata dall’industria degli integratori alimentari come dimagrante, con effetti collaterali pericolosi come tachicardia, iperagitazione, aritmie, crisi ipertensive e problemi cardiaci in genere (come sempre quando si esagera).
La difficoltà successiva è stata trovare una ricetta convincente. Ne avevo vista una su Giallo zafferano, che di solito è una miniera inesauribile di ricette affidabili, ma come quasi tutte le altre che avevo trovato prevedeva una quantità di zucchero che per me è inaccettabile (3 chili di zucchero per 2 chili di arance!). Io di solito come già vi ho detto uso il 33% di zucchero rispetto alla frutta (cioè tipo 330 grammi per chilo), ma per gli agrumi arrivo quasi sempre a circa 700 grammi di zucchero, altrimenti la marmellata mi fa venire la bocca a forma di asterisco.
Però con le arance amare non avevo mai avuto a che fare, così avevo un po’ paura che i canonici 700 grammi fossero pochi. E invece, gira gira, ho trovato la conferma alle mie teorie marmellatose, in questa ricetta stupenda che ho seguito praticamente alla lettera.
Fate questa marmellata, ve la consiglio caldamente. È uno spettacolo, se vi piacciono un po’ i sapori amari. È facilissima, non c’è nient’altro che frutta e zucchero, uno di quei miracoli della cucina che bisognerebbe conoscere assolutamente.

Ingredienti:
1 chilo e mezzo di melangoli
700 grammi di zucchero grezzo
1 piccolo limone

Dovete cominciare tre giorni prima.
Lavate i melangoli, bucherellatene la buccia con una forchetta (non affondate i rebbi più di un centimetro), e metteteli a bagno in una ciotola molto grande piena d’acqua (possibilmente non di rubinetto, a meno che non siate sicure della purezza). Nei successivi tre giorni cambiate l’acqua ogni mattina e ogni sera, e rimettete i melangoli a bagno.
Trascorsi questo tre giorni, che servono a far sì che l’amaro della parte bianca si attenui molto, scolate le arance, asciugatele e controllate che non ci siano parti molli, che nel caso andranno tassativamente scartate (ho calcolato circa un chilo e mezzo di arance per averne poi un chilo effettivo da pulite).
Mettete da parte una delle arance e cominciate ad affettare più sottilmente possibile tutte le altre, tagliandole prima verticalmente e poi appoggiandole sul tagliere dalla parte piatta. Se qualche seme scappa fuori gettatelo, ma gli altri lasciateli, perché sono loro che contengono la pectina che farà addensare la marmellata. Poi, man mano che le arance cuoceranno, i semi verranno a galla e potrete toglierli molto facilmente con una schiumarola – con molta flemma però :-)
A questo punto dovete decidere quanto tritare le bucce a seconda di come volete che venga fuori la marmellata. A me non importava che i pezzi fossero molto piccoli, per cui mi sono limitata a tritare molto grossolanamente le fettine (il risultato lo potete vedere nella foto); inoltre se cambiate idea alla fine immagino che possiate benissimo togliere la pentola dal fuoco, immergerci il frullatore a immersione, ridurre alla consistenza che desiderate, salvo poi riportare il tutto a ebollizione per far tornare il tutto sterile.
Insomma, prendete tutto quello che avete prodotto, fettine, pezzettini, succo, e mettete in una ciotola di vetro (che avrete precedentemente pesato per sottrarne il peso dal totale); pesate un totale di un chilo e aggiungeteci il succo del limone e quello dell’arancia che avevate lasciato da parte. Ovviamente se le arance tritate pesano di più non dovrete far altro che proporzionare lo zucchero di conseguenza.
Prendete una buona pentola di acciaio dal fondo spesso (ma ho visto in rete delle bellissimissime pentole di rame per fare la marmellata) e versateci tutto dentro; inizialmente tenete la fiamma bella alta, poi appena il composto comincia a bollire abbassate al minimo, il tutto deve appena sobbollire, magari anche con una retina spargifiamma.
Man mano che vengono a galla i semi asportateli con una schiumarola; mescolate molto spesso con un cucchiaio di legno, in modo che lo zucchero non caramellizzi sul fondo.
La ricetta dice che la marmellata dovrebbe cuocere circa un’ora e mezza (per la dose da un chilo), ma voi regolatevi a seconda della densità che preferite; la parte bianca delle bucce deve comunque diventare simil-trasparente. Ricordate che la vischiosità della marmellata cambia completamente da fredda (si addensa moltissimo), e che potete sempre fare la prova del piattino per controllare.
Appena sarete soddisfatte della consistenza versate la marmellata nei soliti vasetti di vetro che avrete sterilizzato in forno o nell’acqua bollente, chiudete con tappi nuovi e ribaltate i vasetti fino a quando non saranno completamente freddi.
Dopo quindici giorni la marmellata migliora ulteriormente (ma anche appena fatta è uno spettacolo).