L’idea era di parlare del burro chiarificato, ma scrivendo mi sono resa conto che per farlo devo necessariamente spiegare alcune cose sul burro in generale. Cose che non tutti sanno, ma che tutti dovrebbero sapere. Che ad esempio il burro che normalmente consumiamo è pastorizzato: la pastorizzazione serve ad abbattere la carica batterica che ha il burro crudo, che lo farebbe irrancidire in tre o quattro giorni (i batteri con il tempo convertono il lattosio in acido lattico).

Il burro è uno di quegli alimenti che nel tempo ha subito le maggiori manipolazioni (insieme a tutti i prodotti caseari in genere, o meglio al latte in genere e a tutto ciò che da esso deriva). Non è facile trovare in Italia burro degno di questo nome e nelle prossime righe vi voglio spiegare il perché.

Personalmente compro quasi sempre un ottimo burro che però viene dalla Germania (e tanti saluti al chilometro zero). Il motivo per cui passo sopra il fatto che proviene da un posto così distante è che, come vi dicevo poc’anzi, da noi è difficilissimo trovare burro di buona qualità. Quasi tutto il burro italiano infatti, non viene ottenuto centrifugando la panna fresca, come di solito si fa in paesi come la Francia o la Germania, ma da panna che viene lasciata affiorare alla superficie.

Il motivo è che due terzi di tutto il latte italiano vengono parzialmente scremati per affioramento della panna, per produrre due dei nostri formaggi più importanti, il Parmigiano reggiano e il Grana padano.

Il processo di affioramento della panna è però piuttosto lento (se ho ben capito anche tre giorni), e spesso viene eseguito a temperature che favoriscono la proliferazione dei batteri, per cui inacidisce e peggiora molto rispetto a quella fresca. Il burro ottenuto con questo tipo di panna è di bassa qualità e ha un retrogusto di formaggio. Il parmigiano e il grana sono molto più costosi del burro, e come al solito gli interessi economici prevalgono.

Come se non bastasse, spesso i piccoli produttori di parmigiano e grana non hanno la possibilità di portare la panna ai burrifici con camion refrigerati nel modo giusto, così trasformano direttamente nel loro stabilimento la panna in “burro grezzo”, che può essere trasportato a temperature più elevate.

Il burro grezzo viene poi “rifuso”. Questo procedimento, che consiste nel fondere il burro dopo averlo ottenuto dalla panna, mescolarlo con creme di varia provenienza, e poi ritrasformarlo in burro, gli fa assumere un colore quasi bianco (il burro invece dovrebbe avere un colore più o meno giallo, a seconda dell’alimentazione delle mucche); tanto per gettare un altro po’ di fumo negli occhi, alcune ditte gli aggiungono un po’ di zafferano per farlo sembrare più giallo.

Inutile dirlo, a differenza del burro ottenuto da panna di centrifuga, quello rifuso possiede un bel po’ di grassi saturi (non di quelli buoni, perché ci sono quelli buoni, avete letto il bellissimo articolo di Arianna che lo spiega?).

Ecco perché preferisco acquistare un burro tedesco; prima di sapere tutte queste cose lo facevo per il sapore, adesso ho anche un motivo razionale. Se parliamo poi di burro crudo da centrifuga, sempre se siete certissimi della sua provenienza, la questione è completamente diversa. È un alimento assolutamente sano, e anzi addirittura terapeutico in alcuni casi; la bioterapia nutrizionale lo utilizza per varie patologie. Contiene quantità significative di vitamina D, raramente disponibili in tutti gli altri alimenti, vitamina E ad azione antiossidante e molti grassi insaturi, quindi privi di tossicità.

La cosa migliore sarebbe farlo in casa, semplicemente versando della panna fresca di buona qualità in una bottiglia, e agitandola a lungo. Dopo un po’ (un po’ più di un po’) nella parte superiore della bottiglia si forma un’emulsione gialla, che è il burro, e nella parte inferiore rimane un liquido biancastro, acquoso, che si chiama latticello (no, non è il latticello fermentato – o buttermilk – che si usa per cucinare, per diventarlo deve essere addizionato con fermenti lattici, ma di questo ne parlerò un’altra volta).

Quando invece il burro viene cotto non possiamo dire la stessa cosa, perché, avendo un punto di fumo molto basso (130°C), forma facilmente sostanze tossiche per il fegato come l’acroleina. Ed ecco che entra in causa il burro chiarificato. Sembra una cosa complicata, invece è solo burro fatto cuocere a bagnomaria (o anche in un normale pentolino con un bel fondo spesso), a fuoco bassissimo per più di un’ora, a seconda della quantità.

Il burro è composto per circa l’80% di grasso, e per il 15% di acqua. Con questo procedimento l’acqua evapora, e la caseina si separa dal grasso, che rimane solo soletto e prende il nome di burro chiarificato, che a differenza del burro vero e proprio è molto adatto alle fritture e alla cottura in generale, avendo un punto di fumo alto quasi quanto quello dell’olio extravergine d’oliva.

Ancora diverso poi è il ghee, o ghi (che è quello che preparo di solito). Rispetto al burro chiarificato il ghee viene scaldato a temperatura leggermente più alta e per più tempo, in modo che gli zuccheri e le proteine subiscano la reazione di Maillard (se vi interessa approfondire guardate qui e qui).

Questo prolungamento della cottura cambia qualcosa nel burro chiarificato (cosa ancora non si sa), e lo rende un alimento puro, molto digeribile e addirittura curativo: in india è spesso usato come base per alcune preparazioni ayurvediche. Si può usare al posto del burro, dell’olio, dello strutto, per qualsiasi uso, anche per friggere; può essere spalmato sul pane, messo nei dolci, si conserva per mesi e a volte anni, non necessariamente in frigorifero, non si ossida e non irrancidisce.

Nella tradizione orientale si mescola con cumino, fieno greco e altre piante ottenendo il Ghi gruta, un unguento rinfrescante per molti problemi di pelle, come eruzioni o bruciori; preso a digiuno invece viene utilizzato per curare la gastrite.

Ecco quindi un modo semplicissimo per prepararlo in casa. Potete anche acquistarlo, ma secondo me non vale la pena visto che costa un bel po’ (al momento — se non erro — più di 40 euro al chilo).

Ingredienti:
500 grammi di burro da panna di centrifuga
un po’ di pazienza

Lasciate sciogliere il burro in un pentolino di acciaio alto e stretto, a fiamma molto bassa. Cercate di fare in modo che mantenga una temperatura uniforme, vale a dire non deve esserci una parte che si scalda di più rispetto a un’altra. A un certo punto comincerà a formarsi una schiuma bianca sulla superficie. Sono le proteine intrappolate in bollicine d’aria. Cercate di eliminarla più possibile con la schiumarola o semplicemente con un cucchiaio.

Abbassate al minimo la temperatura e lasciate sobbollire senza mescolare, in modo da far evaporare tutta l’acqua; all’inizio il burro bollirà comunque e sfrigolerà un po’; poi la caseina precipiterà sul fondo del pentolino. Dopo il burro diventerà chiaro e non bollirà più. Potrebbe volerci molto tempo per fare tutta l’operazione, anche più di un’ora, tenetene conto; consideratelo come un antistress, a volte fare le cose con grande lentezza può essere molto terapeutico.

Trascorso il tempo necessario, dovrete togliere il burro chiarificato dal fuoco tempestivamente o potrebbe bruciare (se succede, incomincerà a schiumare nuovamente e diventerà marrone anziché dorato).

A questo punto dovrete filtrare questo liquido con un tovagliolo bianco pulito (lavato senza detersivi profumati e senza ammorbidente, altrimenti avrete un ghi aromatizzato alla lavanda, finta, oltretutto); in mancanza del tovagliolo potete usare anche un colino di metallo a maglia molto fitta. Dovete fare questa operazione con molta delicatezza, per evitare di travasare anche la caseina che c’è sul fondo. Se tutto è andato bene, dovreste aver ottenuto un liquido color oro dal gusto dolce e tostato, con un colore simile a quello del miele.

Versatelo in un vasetto di vetro e lasciatelo raffreddare prima di chiuderlo; potete conservarlo in frigo o a temperatura ambiente. Al momento dell’utilizzo, potrete prendere la quantità che vi occorre con un cucchiaio o un cucchiaino. La difficoltà sta tutta nel fatto che è una cosa nuova; dopo la prima volta preparerete il ghi con la stessa facilità di un piatto di pasta.

Potete aromatizzare il ghi a vostro gusto, avvolgendo le spezie preferite in una tela di cotone e immergendole nel burro sciolto. Potete usare cumino, pepe in grani, chiodi di garofano, noce moscata o zenzero, ma ricordate che poi qualsiasi cosa cucinerete avrà quell’aroma. Se lo fate per la prima volta vi consiglio però di lasciarlo nature. Ha già un buonissimo sapore da solo. Un’ultima cosa: che me ne faccio della caseina? la butto? Ho letto in rete che le nonne la conservavano e la mangiavano sul pane. Io ci proverò sicuramente, la curiosità prima di tutto!

Aggiornamenti:

23 maggio 2011:
In un vecchio post che ho trovato su questo bellissimo blog (che adesso ha traslocato qui) ho appreso che il ghee si può fare in modo ancora più semplice di quello che avevo imparato io.

Il procedimento è quasi identico, solo che il burro va lasciato sulla fiamma bassissima tutto tranquillo e solo soletto, senza dover stare lì un’ora a schiumarlo. Alla fine basta lasciarlo raffreddare un po’ (senza coprirlo assolutamente altrimenti l’acqua che evapora ricade dentro) e asportare la crosticina schiumosa che si è formata in superficie, e dopo passarlo nel colino come ho descritto sopra.

Le foto che vedete nel post si riferiscono proprio a questo procedimento, e il ghee è venuto praticamente perfetto. L’unico accorgimento è che bisogna stare molto attenti a non lasciar bruciare la caseina che si accumula sul fondo, Deve solo brunire leggermente: se la caseina brucia bisogna gettare tutto, perché il ghee prende un cattivo sapore.