Facciamo che la seconda parte del seminario ve la racconto subito, così poi ricominciamo con le ricette e ci rilassiamo un po’. Il tasto per me dolente è che il secondo intervento di Matteo Giannattasio verteva su un argomento del quale finora ho sempre evitato accuratamente di parlare qui sul pasto nudo: gli organismi geneticamente modificati.
Matteo Giannattasio
Credo però che sia molto importante uscire dalla nebbia nella quale siamo tenuti, anche in virtù del fatto che essendo un argomento scientifico *non potremmo capire*… va bene, non siamo scienziati, però neanche stupidi, e io credo che anche le cose più complicate possano essere spiegate in un modo semplice.
Come potete immaginare personalmente sono assolutamente contraria al loro utilizzo, per il semplice motivo che non ci sono prove che non siano dannosi, e mi sembra criminale anche solo l’idea di proporli a chiunque, ma soprattutto a dei bambini, anche se il pretesto è salvarli da una possibile morte per inedia. Il motivo per cui non mi piace parlarne è che gli ogm scatenano discussioni che tendono facilmente a sfociare nell’aggressività e nella maleducazione, e voi sapete quanto tengo alla bellissima atmosfera che voi stessi avete creato qui sul pasto nudo… voglio evitare energie negative :-/
Ancora, non avendo io alcuna qualifica per parlare di questo argomento riporto semplicemente quanto ho ascoltato, senza aggiungere commenti personali, se non le mie opinioni che spero bene di poter esprimere. Iniziando il discorso Giannattasio ci ha detto infatti “abituiamoci a ragionare con la nostra testa, e a decidere usando il buonsenso, e se necessario anche una dose di conoscenza scientifica”. Conoscenza scientifica che io non ho, ma il buonsenso ce l’ho sì, e spero che in qualche modo supplisca alle mie carenze, visto che ho sempre detto che questo blog è solo un diario di esperienze personali, e di sperimentazioni basate sull’empirismo.
Vi anticipo quindi che qualsiasi commento offensivo, aggressivo o maleducato non sarà accettato o verrà rimosso. Naturalmente non parlo di voi che già frequentate questo non-luogo, che finora ha incredibilmente attratto solo persone equilibrate, educate, colte e intelligenti.
Orbene. Cominciamo con il dire che attualmente in Italia non sono consentite le coltivazioni transgeniche (che se ho ben capito per adesso si limitano al mais, alla soia e, negli Stati Uniti, alla colza); è possibile però importare mangime transgenico per gli animali, e venire a contatto quindi con gli ogm attraverso il latte e la carne. Quest’ultima cosa non avviene nell’ambito biologico, però c’è da dire che anche nel biologico da circa un anno per allinearsi all’Unione Europea è stata ammessa la contaminazione transgenica fino allo 0,9%. Ma quali sono i motivi per i quali si dovrebbero utilizzare alimenti transgenici?
Intanto non è vero che i prodotti geneticamente modificati sono meno costosi.
Non sono migliori dei prodotti naturali (la definizione coniata negli Stati Uniti, e che si spiega da sola, è “equivalenza sostanziale”…).
Non hanno un sapore migliore (e anzi un pomodoro geneticamente modificato, che aveva la caratteristica di rimanere sulla pianta per lunghissimo tempo senza maturare, è stato ritirato perché aveva un sapore orrendo).
Non è vero che coltivando organismi geneticamente modificati è possibile ridurre la quantità di pesticidi utilizzati.
E qui Giannattasio si è dilungato con un paio di esempi, per la soia e per il mais. Immaginate di voler coltivare un vostro appezzamento di terreno seminando soia. Inizialmente potreste utilizzare un diserbante per preparare il terreno, poi potreste seminare la vostra soia, ma dopo non potreste più utilizzare il diserbante perché rovinerebbe il raccolto; quindi avreste utilizzato il pesticida una volta sola. Se invece voi decideste di seminare una soia geneticamente modificata, questa sarebbe resistente all’erbicida, che quindi potreste utilizzare tutte le volte che vorreste.
Ed è esattamente così che è andata la cosa, il Roundup (il nome dell’erbicida che viene usato con la soia modificata geneticamente) viene utilizzato fino a 7 volte di più. Con grande gaudio dell’industria che lo produce, e somma disperazione dell’ambiente.

Per inciso, Giannattasio ci ha spiegato che il gene che permette alla pianta della soia di resistere all’erbicida proviene da un microrganismo scoperto per caso nella rete fognaria, capace di trasformare i pesticidi senza soccombere. Come se non bastasse, nel pesticida viene usato un coadiuvante, un additivo, che in combinazione con il suddetto è tossico per le cellule.
Per quanto riguarda invece il mais, l’ostacolo più grande alla sua coltivazione è che viene attaccato dalla piralide, una farfalla la cui larva lo distrugge quasi completamente. L’ingegneria genetica ha quindi pensato di creare una pianta di mais che fosse naturalmente resistente alla piralide, che nella lotta biologica viene debellata spruzzando (solo all’inizio – o al sospetto – della malattia) un batterio, il bacillus turigensis, che si insedia nella larva e la distrugge con una tossina naturale).

Così il mais è stato incrociato con la proteina del batterio, con il risultato che tutte le farfalle, anche quelle non nocive, e importanti come la farfalla Monarca, muoiono, e che oltretutto ha cominciato a provocare reazioni allergiche in determinati soggetti.
Molti sostenitori degli ogm affermano che non è affatto vero che la farfalla Monarca venga uccisa da questo procedimento; ma anche se fosse, perché coltivare una pianta che per tutta la sua vita combatte un batterio, soprattutto senza conoscere bene gli effetti collaterali di questa mutazione, se si può semplicemente spruzzarlo in un dato momento per risolvere il problema?
Non è vero che gli ogm non presentano rischi per la salute derivanti dalla modificazione genetica.
Sono state documentate svariate allergie alimentari, antibiotico-resistenza (a causa del fatto che nella tecnologia del trasferimento genetico bisogna necessariamente introdurre un antibiotico), problemi a livello dell’endotelio intestinale (di tutta la parte metabolica, compreso il fegato); inoltre intervenendo sul genoma possono comparire proteine sconosciute alle quali non sappiamo ancora come l’organismo umano (e quello animale) possa reagire.
Gli ogm non risolvono il problema della fame nel mondo.
Per quanto ci riguarda qui in Italia non abbiamo questo problema, anzi siamo costretti a mandare al macero quantità imbarazzanti di arance, solo per fare un esempio.
Nel terzo mondo invece il problema della fame è molto più complesso e variegato di quello che si potrebbe pensare, legato tantissimo all’aspetto sociale della loro agricoltura, che deve rispettare tradizioni e condizioni sociali del luogo, e per il quale la fame non è dovuta al fatto che le varietà locali producano poco, ma al tipo di cultura e al loro modo di coltivare. Le multinazionali come la Monsanto, la Basf, la Dupont, proiettano i loro affari in particolar modo verso questi paesi poverissimi, come il Mozambico, o l’Angola.
Proprio sull’ultimo numero di Valore alimentare, del quale Matteo Giannattasio è il direttore scientifico, potete leggere che queste industrie, oltre a produrre piante geneticamente modificate, riciclano sui nostri campi coltivati nitrati utilizzati in passato per uso bellico. Sostanze inventate per seminare morte diventano concimi, che aumentano significativamente le rese, ma a costi energetici e ambientali elevatissimi, per non parlare della nostra salute, come avete potuto leggere nel post precedente.
Se fanno questo sulle nostre coltivazioni, come possiamo fidarci della loro mano tesa verso il terzo mondo, o delle loro rassicurazioni sul loro operato riguardo la modificazione genetica di ciò che finisce sulle nostre tavole?
Chiudo il resoconto sul seminario ricordandovi, come ha fatto Giannattasio con l’uditorio, che la parola “agricoltura” ha la sua radice nel latino “cultus”, che significa cura, rispetto, e venerazione, una parola che ha una valenza quasi religiosa. E che un’agricoltura che porta a maltrattare il terreno, le piante, gli animali, e gli stessi agricoltori, non è, e non sarà mai, degna di questo nome.