Ovverossia la capacità reattiva di un essere umano di adattarsi a situazioni di shock, a cambiamenti improvvisi, o a qualunque tipo di avversità. Cosa c’entra questo con l’alimentazione? Oggi voglio offrirvi una prospettiva diversa del mondo del cibo; di solito vi parlo di quanto sia importante scegliere consapevolmente ciò con cui ci si nutre per preservare la nostra salute, o addirittura per curare alcune cose utilizzando il cibo.
resilienza
Stavolta voglio raccontarvi quanto sia ancora più importante fare le stesse scelte di cui sopra perché altrimenti potremmo non essere più in grado di fare *alcun tipo* di scelta. Non per fare la solita catastrofista; mi limiterò a riportarvi quanto ho ascoltato sabato alla conferenza sulla permacultura che si è tenuta al Cimi (ma che quartiere bello è Monteverde? Io non lo conoscevo per niente), durante la quale i toni usati sono stati del tutto oggettivi e sereni, per quanto giustamente preoccupati.
Per primo ha parlato Daniel Tarozzi, ex direttore di Terranauta e attuale direttore dell’appena nato (anzi, nascente, tra un paio d’ore per la precisione) Il cambiamento.

Daniel ha introdotto principalmente il concetto di transition town, sul quale non mi dilungo, per quanto estremamente importante, perché allargherebbe troppo il campo sul quale cerco ogni giorno di muovermi.
Sappiate solo che se una volta l’essere umano era la forma di vita meglio capace di adattarsi a ciò che la natura gli offriva, adesso questa abilità è al lumicino: ormai tutti gli aspetti della nostra vita dipendono dal petrolio (che ha già abbondantemente raggiunto il picco ed è sulla via di un declino disastroso); se questo venisse, come presto verrà, a mancare, non saremmo capaci di procurarci il cibo (che arriva sopra tutto su ruote), per non parlare di altre inezie come l’energia elettrica, e quindi acqua e via parlando.

In Inghilterra, dove questo movimento è nato, le transition towns sono un centinaio (ecco la capostipite); ma, udite udite, ne esistono anche in Italia (l’Aquila era una di queste, prima del terremoto; e anche adesso, forse ancora più testardamente, la gente sta combattendo su questo fronte); un esempio importante ne è Monteveglio, dove dopo un paio d’anni che la gente si muoveva nella direzione che aveva scelto, la politica ha deciso di seguirla (!).
Passiamo al discorso introduttivo sulla permacultura, tenuto dall’agronomo Fabio Pinzi, alias Signor Bio Amiata (non ne avete per caso già sentito parlare? È colui che ha un allevamento biologico di tipo trecento maiali di cinta senese tra la Val d’Orcia e il monte Amiata, bradi, anzi bradissimi, perché dispongono di tipo centocinquanta ettari di riserva naturale per tutte le loro escursioni).
Quartiere Monteverde Roma
In due parole, la permacultura è lo studio di un modello agricolo ecosostenibile; vale dire una ricerca perché l’uomo sopravviva nutrendosi di ciò che la terra offre, senza esaurirne le risorse.
In pratica il terreno, l’anno dopo aver ospitato l’uomo e le sue esigenze, deve aver conservato la sua naturale fertilità.
Purtroppo l’esaurimento delle risorse del nostro pianeta non è una cosa che accadrà tra cent’anni, tra cinquanta o tra dieci: sta succedendo adesso. Lo sapevate (io no, ovviamente) che la pianura Padana è già sterile (come molti terreni italiani)? Vale a dire che la terra è come sabbia, con una fertilità sotto l’1% (un terreno deve avere almeno il 2% di sostanza organica per essere in grado di produrre *qualcosa*). Per capirci, perché la percentuale di sostanza organica si alzi di un solo punto percentuale ci vogliono dieci anni (!) di concimazione con 360 tonnellate di stallatico per ettaro di terreno.
Questo disastro è dovuto alle coltivazioni intensive, alla quantità impressionante di fertilizzanti chimici che sono stati utilizzati, nel tentativo di trovare modi più facili e veloci di sfruttare (parola perfetta per descrivere l’accaduto) il terreno e di raccogliere tutto il raccoglibile (nelle coltivazioni non “farmacologiche” una parte del raccolto viene perso inevitabilmente). Per la prima volta nella storia il valore dei terreni non dipende più dalla loro posizione più o meno felice (magari in pianura o vicino a corsi d’acqua), ma dalla loro qualità.
Non so se mi spiego. Voglio dire, *persino io* adesso potrei essere ricca se avessi voluto fare dei compromessi, piccoli e grandi. Il problema è che la scelta facile, a differenza della scelta giusta, porta (apparentemente) ottimi risultati nel breve periodo, poi all’improvviso ti crescono le orecchie e la coda di asino :-P
Daniel Tarozzi Cimi
Il problema è che se vogliamo uscire da questo circolo vizioso, se vogliamo consegnare ai nostri figli un mondo dove potranno sopravvivere (ci stavo pensando oggi mentre affettavo un cavolo… per Emma sarà facile come per me venire in possesso di una meraviglia come questa? E se, come sembra, sarà difficilissimo, *loro* ci odieranno!!), dobbiamo rimboccarci le maniche e cominciare a studiare quello che qualcuno si è ben guardato dall’insegnarci. Ad esempio dobbiamo imparare com’è fatto il terreno che fa bene alle piante, come si fa a prendersene cura e a preservarlo; anche se poi non utilizzassimo praticamente queste nozioni, è fondamentale averle per capire quello che ci sta succedendo intorno ed agire di conseguenza.
La gente grazie al cielo sta cominciando a drizzare le orecchie (la sala della conferenza era pienissima). Purtroppo soprattutto le persone che hanno cominciato ad avere piccoli e grandi problemi di salute, per adesso. Nessuno ne parla, però; meglio così.
Il fatto che i media – e chi a queste cose non conviene che ci interessiamo – fingano che questa gente non esista non farà altro che darci la possibilità di crescere abbastanza da essere poi troppi e troppo forti per essere messi ancora a tacere. Basso profilo. E per adesso questo silenzio evita anche i vari tentativi di rendere anche questo un business, organizzando magari corsi costosissimi retti da persone che lo fanno per interesse economico invece che per passione.
Vi dico una frase che ho sempre odiato mi fosse detta (l’orgoglio leonino): “aprite gli occhi, guardatevi attorno”. Accanto a voi le cose si stanno muovendo. Lo sforzo è lo stesso di quando al mattino dovete alzarvi dal letto e siete ancora più di là che di qua (questa è assolutamente autoriferita); dopo una decina di minuti, e un lago di tè, siete pronti per tuffarvi in ciò che vi piace (vabbeh, parliamo di giorni non lavorativi).
Mia madre diceva “ha cantato il gallo” :-) È giorno!