Chi mi segue dall’inizio conosce già molto bene Gian Carlo Cappello: nella rubrica sull’agri-cultura ho seguito i suoi primi esperimenti a Sacrofano sulla coltivazione elementare (trovate i resoconti qui, qui, qui, qui, e infine qui), e vi ho raccontato come e perché secondo lui arare è stato l’errore atavico dell’agricoltura primordiale.

libro coltivazione naturale

L’avete poi ritrovato, con lo pseudonimo di Olmontano, tra le meravigliose persone che mi hanno fatto l’onore di presentare il pastonudolibro, e quando, finita l’esperienza nel Lazio, è partito per diffondere il suo modo di coltivare la terra (lui direbbe “di farsi coltivare dalla terra” :-D), ho seguito pedissequamente tutte le evoluzioni sulla sua pagina Facebook, nel quale Gian Carlo pubblica continuamente album di foto per testimoniare il lavoro che sta svolgendo.

Ovviamente quando ho saputo che stava scrivendo un libro sulla sua Civiltà dell’orto, in particolare sull’esperienza del comune Lombardo di Angera (subito dopo Sacrofano Gian Carlo è stato 18 mesi in Sicilia, a Bagheria, Nicosia, Agrigento e Messina), gli ho chiesto subito di inviarmene una copia, non si sa mai ci fosse scritto qualcosa che mi era sfuggito :-D

libro di coltivazione naturale

Qualche settimana fa l’ho ricevuto, con una splendida dedica della quale sono molto orgogliosa; giusto il tempo di leggermelo per bene e finalmente posso raccontarvelo con un po’ di calma.

Per prima cosa devo dire che mi aspettavo un libro sul “come” e invece è soprattutto un libro sul “perché”. O meglio, le prime pagine riassumono i capisaldi del suo modo di coltivare, tra i quali spiccano la “piegatura” delle erbe spontanee, la pacciamatura di fieno, e in particolar modo “il non fare”: l’assenza di concimi (sia sintetici che naturali) e di ogni lavorazione della terra, soprattutto quella svolta con le macchine, ma anche quella manuale.

La seconda parte del libro invece è tutta dedicata ai motivi e alla filosofia della Civiltà dell’orto, che nella dedica Gian Carlo descrive come “coltivazione naturale condivisa e scambio di beni e servizi senza uso del denaro”.

Parliamo prima di tutto della parte pratica (che è quella che i miei 5 pianeti in vergine amano di più); il metodo di Gian Carlo, rispetto ad esempio al già avanzato sinergico elaborato dalla Hazelip, che forma dei bancali di terra rialzati dal terreno per coltivare – e che adesso in molti stanno abbandonando – è ancora più semplice e “pigro”.

orto naturale libro

Si delimita il pezzo di terra da coltivare, ci si cammina sopra per bene per schiacciare e piegare le erbe spontanee (a meno che non siano legnose e alte, nel qual caso vengono tagliate a pochi centimetri dalla base), si copre con 15/20 centimetri di fieno non trattato, si scosta la pacciamatura così ottenuta e si pratica un buchetto nella terra per metterci semi o piantine, e si annaffia una prima volta. Dopo questa prima volta basteranno aggiungere, se necessario, due o tre annaffiature a settimana, ma non più di 3 secondi a piantina.

come fare la pacciamatura

Alla pacciamatura con fieno (e non con paglia!) dedicherò un post molto presto, perché è un’argomento che merita un discorso a sé; per una volta voglio descrivervi un libro senza essere logorroica (ditemi che non è già troppo tardi o.O).

libro la civiltà dell'orto

La decisione di descrivere proprio l’esperienza di Angera, nonostante al momento Gian Carlo stia realizzando un orto molto più grande, è stata dettata dal fatto che questo caso particolare è stato forse il più difficile da affrontare, visto che c’erano a disposizione solo pochi centimetri di terra stesi su vecchi riempimenti di calcinacci all’interno di un parco giochi comunale, non c’era impianto di irrigazione e il 2015 era stato un anno particolarmente siccitoso.

orto naturale di Angera

In barba a tutti questi problemi l’orto, di 210 metri quadri, come sempre ha prodotto rigogliosamente e ha offerto l’autosufficienza alimentare a Gian Carlo (che è vegano, quindi non mangia altro!) per un anno. Da quest’anno in poi la produzione dell’orto verrà distribuita dal Comune di Angera alle famiglie bisognose, e verrà aumentato il laboratorio per bambini, iniziato nella primavera del 2015.

irrigazione orto naturale

Ma come si può concepire nel ventunesimo secolo un’agricoltura senza l’ausilio delle macchine, che “sollevano l’uomo dalla fatica”, “ottimizzano i tempi e fanno produrre (e guadagnare) di più”? Non si rischia di fare un nostalgico salto nel passato, quando l’agricoltore era imbruttito dalla stanchezza e dalla fatica, o di privilegiare fortemente chi si può permettere di acquistare frutti della terra molto più costosi e difficilmente accessibili?

La risposta di Gian Carlo permea ogni pagina del suo libro. Cito: “La coltivazione elementare non è figlia dell’agricoltura del passato, nella cui logica era implicito il passaggio dal bue al trattore, dal letame ai nitrati, dalla poltiglia bordolese ai pesticidi chimici, dalla zappettatura al diserbante, dalle cisterne sui carretti agli impianti di irrigazione in funzione tutto il giorno, dalla scelta in campo della semente migliore agli OGM e via dicendo: la coltivazione elementare è semmai figlia dei tentativi di trovare un’alternativa a tutto questo”.

agricoltura sinergica problemi

E, più concretamente: “Quella che segue quindi non è solo la storia di un piccolo orto sano e produttivo, che ha stupito migliaia di persone per i risultati ottenuti in assenza di qualsiasi pratica agricola; l’orto di Angera è soprattutto la credibilità dell’utopia, un esempio ben definito non solo dell’efficacia dei metodi naturali ma anche della loro capacità di stimolare nelle persone l’acquisizione di un nuovo paradigma di introspezione e condivisione sociale.”

danni della proprietà privata

Il punto, per Gian Carlo, non è solo proteggere e sostenere la fertilità del suolo (che dipende *unicamente* dalla presenza dell’humus), come spiega in relazione al metodo biodinamico anche Alex Podolinsky (ve ne ho parlato diffusamente qui e qui), ma anche e soprattutto creare un movimento di persone che attraverso il rispetto verso la terra si incamminino sul percorso di una vera e propria rivoluzione sociale (e non posso che condividere questa visione, visto che sto scrivendo un libro sullo stesso argomento, anche se dall’angolazione leggermente diversa dell’interazione tra cibo e rete).

agricoltura consapevole

Secondo Gian Carlo l’utilizzo delle macchine nell’agricoltura è il motivo per cui questa è diventata un’attività a perdere, semplicemente perché le macchine costano molto più di quanto riescano ad aiutare a produrre. Ovviamente questo discorso vale in un contesto di “family farming”, non in uno industriale.

Questo non vuol dire che ci si debba limitare alle piccole produzioni, anzi nella sua ottica l’orticoltura elementare è l’alternativa perfetta alle mega produzioni, potendo andare a costituire un mosaico di orti diffusi nel territorio. Il rapporto tra coltivatori e fruitori è secondo lui di 1 a 9 (vale a dire una persona che coltiva può sostenere 9 persone che svolgono altri lavori), cioè centinaia di volte più favorevole di quello dell’agroindustria. Basterebbe coltivare in questo modo i campi sottoutilizzati o abbandonati (ce ne sono tantissimi!) per avere finalmente il famoso chilometro 0, reale e tangibile.

Per quanto mi riguarda in un mondo perfetto il futuro prevede sicuramente meno cibo, più sano e nutriente, e soprattutto meno spreco, inizialmente per quelli che ne capiranno l’utilità e il motivo, che inevitabilmente saranno quelli che riusciranno a ragionare con una mentalità “collettiva” e non quella individualista propria dell’ultimo secolo, poi anche chi non ha accesso alle informazioni spero che seguirà gli altri, anche solo per accodarsi (cosa che spesso si fa quando non si è formata una propria opinione).

gestione delle erbe spontanee

Gli esclusi da questa necessaria e fondamentale evoluzione secondo me non saranno le persone meno abbienti, ma quelle che non si informeranno o che non riusciranno a usufruire della rete in modo sano. Purtroppo, e questo è verissimo, chi vive nel bisogno nella maggioranza dei casi è troppo occupato a cercare di sopravvivere per informarsi. Starà a chi ha potuto farlo cercare di aiutare.

Gian Carlo Cappello

Insomma, secondo Gian Carlo Cappello l’orto non vuole affatto l’uomo morto, ma risorto; l’epoca dell’autoflagellazione è finita, e questo concetto mi è stato ancora più chiaro quando ieri pomeriggio ho visto un anziano giardiniere inginocchiato sotto il sole a strappare le erbe spontanee dalle numerosissime aiuole di quest’angolo di Sardegna nel quale ho la fortuna di trovarmi in questi giorni.

Tutto, le rocce, le piante, le lucertole, il cielo, sembravano guardarlo con una faccia interdetta, e io stessa non ho potuto fare a meno di provare tanta tenerezza per quel caro vecchietto che a sua insaputa stava facendo una cosa inutile e dannosa, convinto di fare un lavoro impeccabile.


La Prealpina, 22 giugno 2015

Avrei molte altre cose da dire su questo libro, edito da L’Età dell’Acquario (anche perché come vedete dalle foto l’ho letto e riletto varie volte!); ad esempio un cenno a parte avrebbe meritato il capitolo nel quale si parla del suono di base a 432 Hz, la Vibrazione della natura che rinvigorisce le piantine e aiuta l’humus a svilupparsi, ma per evitare a me e a voi lo sproloquio se siete curiosi lo trovate in tutte le librerie, fisiche e virtuali.

Se volete saperne di più potete andare a sbirciare direttamente sul loro sito . Adesso vi lascio, ché questa estate ho ancora svariati libri di cui parlarvi, uno più bello dell’altro. Non sia mai detto che i lascio sprovvisti di letture sotto l’ombrellone!