Ho tergiversato fino adesso prima di parlarvi del caffè, e ancora avrei fatto la gnorri per un bel po’, se non fossi stata costretta a cominciare la mia indagine sui chicchi tostati più famosi del mondo da una serie di eventi che si sono susseguiti, uno dietro l’altro.

tostatura del caffè

Per prima cosa, stiamo curando l’immagine di una torrefazione romana che ha deciso di orientarsi verso il caffè biologico e fairtrade, e quindi giocoforza ho dovuto fare una luuuuunga ricerca (ogni progetto grafico inizia sempre dall’osservazione di ciò che c’è già in giro, possibilmente a livello internazionale, per avere un quadro il più completo possibile) in questo senso.

Poi c’è Loretta, che sta svolgendo ricerche sul cacao biologico, che proviene più o meno dagli stessi posti dove si coltiva il caffè, e ha quindi problemi simili per districarsi tra certificazioni internazionali, leggi sull’importazione, regolamenti comunitari, e così via.

Normalmente anche i più accaniti consumatori del cibo naturale (tipo… me!) sono in genere un po’ più elastici per quanto riguarda alcuni prodotti, come il caffè o la cioccolata. Senza peraltro un vero motivo, se non l’argomentazione molto opinabile che per quanto riguarda questo tipo di prodotti non ci sono differenze sostanziali sia se parliamo di sapore che per quanto concerne il controllo.

Le frasi che mi sento dire più spesso è: sì, ma come fai a essere sicura che un prodotto che viene da così lontano sia *veramente* certificato e controllato? oppure: ma ti pare che nella giungla *incontaminata* utilizzano i pesticidi?.

La cosa che più mi è saltata all’occhio durante le ricerche è che all’estero esiste una sensibilità completamente diversa nei confronti delle coltivazioni biologiche, che vengono apprezzate prima di tutto per il fatto che rispettano l’ambiente, e solo in seconda battuta per la maggiore qualità o per il sapore di ciò che si mangia.

Il dibattito per noi italiani è spesso se il cibo bio abbia un sapore migliore, aspetto sicuramente importante, ma non l’unico! Ben vengano il finocchio che sa veramente di finocchio e le pesche che non sanno di acqua, ma preservare la vita, rispettare il terreno che coltiviamo e che ci dà da mangiare, smettere insomma una buona volta di pensare solo alle nostre esigenze e cercare in ogni modo di mediarle con quelle di madre natura è senz’altro più urgente e primario.

Il sapore del caffè poi (in generale, anche per quanto riguarda il caffè convenzionale) è un altro punto interrogativo: sono poche le persone che capiscono veramente la qualità del caffè che stanno bevendo; la stragrande maggioranza dei consumatori beve qualsiasi cosa gli si propini, purché ben caldo e con un po’ di schiuma.

Chi tra di voi sa quante varietà di caffè esistono, e che caratteristiche hanno l’una rispetto all’altra? E per quanto riguarda il modo di *farlo*, il caffè? Vogliamo parlare della caffettiera napoletana? Della moka inventata da Bialetti? Delle macchinette per fare il caffè americano? Che tipo di macinatura deve avere il caffè perché sia adatto ad un uso piuttosto che ad un altro? E perché il caffè del bar ha quella bella schiuma densa e quello di casa no (a meno che non vi muniate di cucchiaino e olio di gomito!)?

In questo momento vanno alla grande quelle macchinette casalinghe nelle quali si possono inserire delle capsule confezionate in pacchettini metallizzati meravigliosi simili a cioccolatini in una varietà di gusti e colori super attraenti; non abbiamo però alcuna indicazione su quanto sia salubre un caffè che viene scaldato ad alta temperatura in un incarto che è fatto esternamente di alluminio e internamente di plastica (!).

Insomma, a forza di scavare ho trovato tanto di quel materiale che sono *costretta* a propinarvi un’altra rubrica, con la quale vi porterò nel profumatissimo mondo del chicco tostato “a manto di monaco” o anche “a tonaca di frate” (come il mitico Eduardo definiva la tostatura perfetta in una celebre scena di “Questi fantasmi”).