Questi non li avrei mai fatti se non ci fosse stato un caro amico che era alla disperata ricerca di una ricetta per fare i taralli utilizzando la bianca; non perché non mi piacciano (i bambini napoletani i taralli al pepe li sciolgono nel biberon al posto dei plasmon), solo che ho una lista di cose da provare a fare con il lievito naturale talmente lunga che ci metterò tutta la vita.

taralli napoletani

Siccome un bel po’ di tempo fa durante i miei soliti giri strani mi ero imbattuta in una ricetta molto convincente di una mia compaesana e l’avevo messa subito nei bookmark (si sa mai dovessi avere avuto voglia di taralli napoletani), ho deciso di partire da quella, adattandola al lievito naturale liquido.

Grazie a Nandino avevo anche in frigo lo strutto felice; a proposito, devo assolutamente precisare una cosa che mi ha spiegato lui, e che sicuramente mia nonna sapeva perfettamente, ma della quale io non avevo idea. Dovete sapere che esistono due tipi diversi di strutto.

Il primo proviene dal lardo che si trova vicino alla spina dorsale, sul dorso del maiale, e in generale dal grasso sottocutaneo. È piuttosto spesso: Nandino mi ha raccontato che anticamente i contadini facevano a gara a chi otteneva il lardo con lo spessore più alto, misurandolo attentamente con il centimetro; è quello che si stagiona per consumarlo poi a fettine sottilissime sul pane, o in una miriade di altre preparazioni; da ogni maiale se ne ottiene una decina di chili, e viene utilizzato normalmente per le minestre, le uova fritte e le cose salate in generale. I ciccioli che se ne ottengono sono croccanti e saporiti.

Con l’altro tipo di lardo si ottiene uno strutto chiamato sugna (e spesso viene chiamato sugna anch’esso); si tratta del tessuto adiposo surrenale, molto povero di fibre e decisamente più delicato; se ne ricava un chilo/un chilo e mezzo per ogni maiale, è considerato più pregiato e si usa generalmente per i dolci. I ciccioli che si ottengono dalla sugna sono morbidi e oleosi.

taralli al pepe

Il problema è che, come spesso accade per i termini popolari antichi, esiste una grande confusione tra sugna, lardo, strutto e così via; in particolare, con la parola “sugna” nel sud si tende a indicare tutti i tipi di strutto; non sono nemmeno riuscita a capire come viene chiamato quello del primo tipo.

Mi sono trovata così a prendere una decisione ferale; visto che tanto per non sbagliare Nandino me li ha fatti avere tutti e due, la sugna in un vasetto piccolo e aggraziato e l’altro (lo strutto?) in un vasone ciccione, non sapevo quale dei due utilizzare. Neanche la prova olfattiva mi ha dato un’indicazione di sorta, perché tutti e due i tipi emanavano un profumo delicatissimo che non ci si aspetterebbe mai dal grasso di un animale.

taralli formatura

Alla fine ho optato per quello meno pregiato, che sembra dia un sapore un po’ più grezzo agli impasti; ho pensato, chi più di un tarallo al pepe deve avere un sapore grezzo? Quindi nella ricetta vi ci ho messo lo strutto, ma se per caso riuscite a mettere le mani su una sugna “sicura” vi consiglierei di provarla. Per quanto mi riguarda la prossima volta che tarallerò sperimenterò la suddetta (e che ve lo dico a fare) :-P

Ingredienti:
550 grammi di farina semintegrale di grani antichi
200 grammi di strutto felice
100 grammi di poolish di lievito naturale liquido*
100 grammi d’acqua (dose assolutamente indicativa)
200 grammi di mandorle con la buccia
2 cucchiaini di pepe nero appena macinato
2 cucchiaini di sale marino integrale

*trovate il procedimento per fare il poolish nella pagina della pasta madre liquida, qui.

Sciogliete la pasta madre con un pochino d’acqua, aggiungete 100 grammi di farina e impastate fino a ottenere un panetto bello morbido e umido (se occorre aggiungete un altro po’ d’acqua). Formate un bel panetto tondeggiante, mettetelo in una ciotola di vetro e lasciatelo lievitare fino al raddoppio, nel forno con la luce spenta, come al solito.

Intanto che l’impasto raddoppia tostate 80 grammi di mandorle nel forno (2 o 3 minuti a 180 gradi); quando saranno pronte lasciatele raffreddare e tritatele non troppo finemente con il coltello.

Mescolate poi i rimanenti 450 grammi di farina con i 200 grammi di strutto; io ho dato un’impastata al volo con la planetaria, ma credo si possa fare tranquillamente anche sabbiando a mano, come si fa con la pasta frolla; dovete in effetti ottenere un composto leggermente granuloso, simile alla sabbia.

Quando il primo impasto sarà raddoppiato, incorporatelo al composto sabbiato e aggiungete acqua fino a ottenere un bel panetto morbido, ma non appiccicoso. Alla fine aggiungete il sale, il pepe e per ultime le mandorle tritate.

Dividete l’impasto in sedici pezzi, poi formate ogni pezzettino come i panini al latte, cioè: prendete la pallina di impasto, trasformatela in un salsicciotto leggermente schiacciato e arrotolatelo su se stesso; giratelo di 45 gradi, schiacciatelo leggermente, fate un altro salsicciotto e arrotolatelo di nuovo su se stesso. Questa operazione serve per incorporare aria e per dare corpo all’impasto.

A questo punto prendete ognuna delle palline ottenuta e formate dei cordoncini lunghi circa 40 centimetri e spessi un po’ meno di un centimetro. Ripiegate a metà il cordoncino su se stesso, create una piccola asola come vedete nella fotografia, arrotolate tra loro i due capi del cordoncino e infilate i capi che rimangono nell’asola. Metteteli su una teglia ricoperta di carta forno, come al solito nel forno con la luce spenta.

I miei taralli hanno lievitato dalle 5 del pomeriggio fino alle dieci del mattino del giorno dopo e ho acceso la luce del forno solo verso le otto del mattino. Se volete una lievitazione un tantino più veloce provate ad aumentare un po’ la percentuale di pasta madre (150-200 grammi) oppure da questa fase in poi tenete sempre accesa la luce del forno; in questo modo probabilmente i taralli dovrebbero lievitare nella metà del tempo.

Io non l’ho fatto perché come sapete sto sperimentando impasti con meno lievito possibile, perché ho il sospetto che rimangano fragranti più a lungo e siano più digeribili; inoltre i taralli non è che devono lievitare molto; il tarallo deve essere croccante e fragrante, non morbido e gonfio.

Quando vedrete che i taralli stanno cominciando a crescere bene preriscaldate il forno a 180°C. Quando avrà raggiunto la temperatura aspettate ancora una decina di minuti, poi infornateli e lasciateli cuocere per una cinquantina di minuti circa (controllate il colore, devono essere belli dorati).

Sfornate e lasciate raffreddare nel forno semiaperto se possibile; in questo modo dovrebbero rimanere più croccanti perché il vapore interno fuoriuscirà più lentamente.

Servite con un bel bicchiere di vino rosso o una buona birra cruda. Una mia amica mi ha detto che il papà napoletano di suo marito li mangia con le cozze; non ho mai provato questa accoppiata, ma mi sa che la metto in lista!