Ho notato che buona parte dei post che ho pubblicato qui sul pasto nudo li ho scritti in treno, rientrando a casa dopo un viaggio di lavoro. Anche stavolta la tensione per l’impegno assolto che si va dissolvendo, il ritorno a casa, l’atmosfera rilassata del vagone quasi vuoto (il bigliettaio mi ha spiegato che sotto Natale le persone non viaggiano perché devono fare i regali di Natale) e quindi epurata dal continuo scampanellio dei telefonini (a quando carrozze nelle quali è proibito usare indiscriminatamente questo strumento di comunicazione tanto utile quanto abusato?).

E non ultima, la voglia di comunicare con voi che mi porto appresso da tanto tempo, mi spingono compulsivamente ad aprire il computer per farvi partecipi in tempo reale dei pensieri che mi stanno frullando in questo momento nel cervello, che da buon vesuviano è sempre in eruzione.
Sto rientrando da Venezia. Ho partecipato ad una giornata sul tema “Arte, Formazione, Ambiente” che l’Accademia di Belle Arti di questa incantevole città ha dedicato ai suoi studenti nell’ambito di un programma che intende definire il contributo che l’Arte contemporanea può dare con il suo linguaggio alla comunicazione sulle tematiche legate alla sostenibilità ambientale e al consumo alimentare consapevole.

Relatori sono stati docenti universitari e dell’Accademia, tecnici che operano nell’ambito della gestione dei beni culturali e dell’Ambiente, artisti in erba o affermati. A me è stato affidato il compito di parlare di “Ritmi e cicli della Natura, agricoltura e alimentazione consapevole”.
Parlare a tanti giovani interessati allo sposalizio a tre tra arte, cibo e comunicazione, è stata un’esperienza meravigliosa, anche se di momenti felici con i giovani ne vivo quasi tutti i giorni. Ma non è di questo che voglio parlarvi (semmai lo farò un’altra volta se vi interessa) ma di quello che mi è capitato stamattina. Ora ve lo racconto.
Stamani di buon’ora, Venezia bellissima inondata di sole dopo la giornata di ieri, freddolosa e piovigginosa, stavo viaggiando in traghetto dall’albergo alla stazione ripensando al calore dell’incontro avuto, alle immagini delle facce pulite e luminose dei giovani artisti, alla bontà del cibo stagionale che il direttore dell’Accademia (che ancora ringrazio per l’opportunità che mi ha dato invitandomi), aveva scelto per il pranzo e per lo spuntino del pomeriggio. Quasi sovrappensiero, ho aperto uno dei quotidiani più diffusi, che compro sempre il mercoledì per la rubrica di scienze, e “tacchete” qualcosa che ho letto mi ha fatto arrabbiare: il solito articolo (proprio nella rubrica che vi dicevo) che vorrebbe dare consigli su come alimentarsi bene, ma che dice e non dice, si capisce e non si capisce.
Il titolo del pezzo era “Mai saltare la colazione” e fin qui nulla da obiettare: la colazione, come ho avuto modo di dirvi più volte su questo blog, deve essere da imperatore.
Purtroppo però, scorrendo l’articolo, leggo che “La corretta prima colazione deve comprendere alimenti appartenenti a quattro gruppi: prodotti da forno, frutta, bevanda e una crema spalmabile”. Mi sono chiesto subito cosa il giornalista intendesse per *bevanda* e *crema da spalmare*: dopo poche righe il chiarimento, o presunto tale.
Tra i prodotti da forno viene sì raccomandato il nobile pane, ma anche la “crostata e i plumcake”, che in fatto di zuccheri che fanno alzare la glicemia non scherzano. Poi il giornalista, in un passo successivo, afferma che le merendine sono da evitare, ignorando che i plumcake prodotti industrialmente rientrano proprio nella suddetta categoria.
Nessun chiarimento sul tipo di bevanda e di crema spalmabile. Penso al povero lettore-consumatore, che è lì a chiedersi: merendine sì o merendine no? Se la “crema da spalmare” sia la nutella (che tra l’altro è stata inventata ed è prodotta proprio dalle parti dove si stampa il giornale) o qualcos’altro, e se la bevanda sia la solita “aranciata” o una di quelle famigerate “bevande a base di succo di frutta” che l’industria alimentare produce con tanta acqua e tanto zucchero, e con una quantità di succo così striminzita che per misurarla basterebbe il misurino per l’olio d’oliva che si usava durante e subito dopo la guerra.
Di seguito un’altra perla dell’articolo.
“Va bene anche (al posto del latte) lo yogurt bianco, vaccino o di soia”.
Spero che per yogurt “bianco” il giornalista intendesse quello naturale che per legge non può essere addizionato di zucchero o altri ingredienti. Bianco però può essere anche uno yogurt addizionato di zucchero e allora non va bene come consiglio.
Per il giornalista “yogurt vaccino o di soia” pari son. Beh, uno yogurt naturale fatto con latte vaccino di qualità bio o Demeter, è molto più di uno “yogurt” di soia (che peraltro per legge non può essere denominato yogurt).
Infine questo yogurt, “vaccino o di soia” che sia, andrebbe, sempre secondo il giornalista, “zuccherato al momento con orzo, cacao o marmellata”. A parte il fatto che si zucchera con lo zucchero e non con questi prodotti, quando uno yogurt è di buona qualità, andrebbe gustato com’è. Se no che yogurt è. Mannaggia questo zucchero che si vorrebbe mettere dappertutto per mascherare la cattiva qualità della materia prima!
E pensare che nell’articolo si cita anche un’affermazione, che condivido, di una nota nutrizionista che apprezzo molto. Probabilmente avrà dato al giornalista anche altre corrette informazioni che però sono state male interpretate.

Ripeto una cosa che vado dicendo da tempo. L’informazione riguardante l’alimentazione o la fanno giornalisti preparati in fatto di alimentazione o è meglio lasciarla fare ad esperti veri che fanno anche, e bene, divulgazione. Ne va della salute dei consumatori.

Lancio una proposta: perché i giornalisti che vogliono trattare per mestiere il tema dell’alimentazione non frequentano dei corsi specifici pensati espressamente per loro? Io, ed altre persone preparate di buona volontà che la pensano come me, saremmo molto contenti se ci chiedessero di organizzarli.
Sono dalle parti di Bologna, tra un paio d’ore sarò a Roma. Davanti a me si è seduto un signore, che mi confessa di aver ascoltato quanto stavo sommessamente dicendo al telefonino (in effetti ho appena finito di parlare con la nostra ipervesuviana Sonia per dirle appunto che ho partorito questo post), e che lui si interessa di alimentazione e di bioetica. Mamma mia, che occasione per parlare dei temi che mi stanno, che vi stanno, a cuore (anche dare informazioni sull’alimentazione è un atto etico). Vi racconterò in un prossimo post che cosa ci diremo.
Vi lascio dunque, ma sono contento di aver ripreso i contatti con voi pastonudisti. E questo grazie ad un articolo sgangherato sull’alimentazione che ho letto stamattina sul traghetto che mi portava alla stazione Santa Lucia di Venezia, e al vagone di un treno sorprendentemente vuoto e senza squilli di telefoni. Che giorno fortunato.