Io mi indigno ogni volta che, durante la trasmissione di Fazio “Che tempo che fa”, la bella statuina Filippa Lagerbäck, negli intervalli tra un ospite e l’altro, fa pubblicità ad una marca di chewing gum.
gluten sensitivity
Mi indigno perché avverto che il buon tono con spunti culturali della trasmissione viene sfruttato per fare della pubblicità, e per di più ad un prodotto che ai tempi lontani della mia infanzia era vietato ai ragazzi di buona famiglia perché il masticarlo era considerato un comportamento volgare (o tempora, o mores!).
Qualcosa di simile, anzi di peggio, avviene settimanalmente sui due principali quotidiani italiani, La Repubblica e il Corriere della sera. Il primo, nell’uscita del martedì, e il secondo, in quella della domenica, hanno un inserto dedicato alla salute. In questi inserti, oltre a veri e propri articoli, di solito ben documentati e con tanto di firma di chi li scrive (di solito medici o giornalisti esperti del campo), ce ne sono altri che si configurano come “pubblicità redazionale”.
Si tratta di una nuova forma di pubblicità, meno aggressiva e volgare di quella cui siamo abituati, fatta di spazi all’interno dei giornali in cui campeggiano immagini, di solito donne scollate, che evocano fantasie pruriginose e slogan ad effetto. Ma più subdola, perché finge di informare mentre invece rifila messaggi promozionali.

La pubblicità redazionale ha questi requisiti:

a) compare su quotidiani o periodici ed è pagata da chi vuol fare pubblicità ai suoi prodotti;
b) viene redatta sotto forma di notizia o di servizio di informazione giornalistica;
c) è evidenziata da un’impaginazione e una grafica che dovrebbe teoricamente far comprendere al lettore che sta leggendo della pubblicità ma che, in effetti, è tale da fargli credere che sta ricevendo una corretta informazione.
Un trucco per conseguire questo scopo è il suo inserimento all’interno di rubriche che contengono articoli di divulgazione scientifica.
Può il lettore rendersi conto che quello che sta leggendo è pubblicità redazionale? Sì, perché essa deve riportare l’indicazione dell’agenzia pubblicitaria che la cura. Ad esempio nel caso di Repubblica è l’agenzia “A. Manzoni e C.” e in quello del Corriere “RCS Pubblicità”. Da tener presente anche che i pezzi non sono firmati e le pagine da essa occupate non sono numerate.
Dopo questa doverosa premessa, passo a fare qualche commento sulla pubblicità redazionale apparsa nell’inserto sulla salute de La Repubblica di ieri. Essa occupava le due pagine centrali dell’inserto e comprendeva diversi pseudo-articoli scientifici che trattavano la “gluten sensitivity”, una forma di intolleranza al glutine, differente dalla celiachia, di cui si parla tanto dopo le ricerche compiute congiuntamente da ricercatori italiani e americani.
intolleranza al glutine
Il tutto era condito con immagini ad effetto, di chiaro stampo pubblicitario: la classica famiglia giovane e sorridente a tavola, il bambino che addenta un pezzo di pane, le foto di tre ricercatori coinvolti nella ricerca sulla “gluten sensitivity” che danno l’impressione di fare da testimonial al posto di famosi giocatori di calcio o di stelline della televisione.
Di questo disturbo intendo parlarvi in dettaglio in un prossimo post.
Qui voglio solo farvi presente che, ad una lettura attenta di quanto è scritto, si evince chiaramente che l’industria che si fa pubblicità è la ditta Schar. Perché ha interesse? Perché è leader nella produzione degli alimenti senza glutine destinati ai celiaci.
Una raccomandazione è d’obbligo. Sulla “gluten sensitivity” si è già scatenata la cupidigia delle industrie che producono alimenti senza glutine e per tali alimenti c’è da temere un’ondata di pubblicità redazionale sulla carta stampata e tanta disinformazione sui tanti siti web poco trasparenti. E già circolano in rete proposte di test di autodiagnosi per la “gluten sensitivity” e la notizia, del tutto falsa, che questo disturbo faccia ingrassare.

Io sono convinto da tempo dell’esistenza di una forma di intolleranza al glutine diversa dalla celiachia, fortunatamente non grave (niente autoimmunità) e a carattere transitorio. Sono però dell’avviso che oggi si rischia di diventare preda di questa pubblicità e tanta gente verrà messa a dieta priva di glutine senza averne bisogno. Perché? Perché si vendano i prodotti della Schar o di altre ditte similari, che tra l’altro si acquistano solo in farmacia o in negozi superspecializzati che vendono esclusivamente prodotti per celiaci.

Tante persone già prendono farmaci senza averne bisogno, mettiamole senza motivo pure a dieta senza pizza e pasta e il quadro è completo (e deprimente).
Allora a presto per parlare della “gluten sensitivity” (è una denominazione che fa tanto glamour) e di come fronteggiarla con la dieta, se sfortunatamente se ne soffre… ma andando il meno possibile, anzi senza andarci proprio, in farmacia, per comprare i costosi prodotti industriali senza glutine. Io alcuni di questi prodotti li ho saggiati, non hanno glutine, è vero, ma sono farciti di grassi e zuccheri. Di dietetico hanno davvero molto poco.