Quest’anno niente panettone fatto in casa, sono senza impastatrice, sigh, sigh, sigh!!! L’ho chiesta a Babbo Natale in una letterina che ho inviato insieme a quella della pulcina, speriamo che mi prenda in considerazione anche se sono un po’ cresciutella :-)
leggere le etichette
Quindi vi lascio senza ricetta 2.0, ma potete attingere a una buona 1.0, che perfezioneremo in seguito, prometto; e forse riesco a mostrarvi un’altra cosetta per la quale l’impastatrice non serve, ma che potrebbe fare la sua discreta figura sulla vostra tavola di Natale.
Però in cambio oggi vi faccio un altro regalo che vi avevo promesso da un bel po’ di tempo: una rubrica nuova nuova, curata da nientepopodimeno che Matteo Giannattasio, che ormai ben conoscete perché ve ne ho parlato qui, qui, qui e qui. Ah! E poi anche qui, naturalmente :-)

Il professor Matteo Giannattasio ci racconterà come si fa a districarsi nella giungla dei termini astrusi che leggiamo (che *dobbiamo* leggere) sulle etichette di ciò che compriamo. Ci insegnerà a distinguere gli ingredienti buoni da quelli cattivi; a non acquistare cibo che contenga ingredienti che servono a mascherare la cattiva qualità, tra cui gli additivi, che nel migliore dei casi sono inutili, ma non di rado possono anche essere nocivi.

D’altra parte, perché diavolo dovremmo comprare qualcosa che ci può far male? Perché per l’industria è più facile produrlo in quel modo? O perché alla grande produzione costa meno farlo così? Voglio dire, se un dolce sa di vaniglia (posto che la vaniglia sia lì per dargli un aroma, e non per nascondere qualche magagna), voglio che ci sia dentro la vaniglia, non una cosa che ha un sapore simile.
Tempo fa mi interessai molto agli olii essenziali (adesso li uso abitualmente per tante cose); questo studio mi portò a gettare (e bandire per sempre) ogni tipo di profumo sintetico.
Uno dei motivi più importanti per cui feci questa scelta fu apprendere che le onde cerebrali di una persona che annusa un olio essenziale subiscono significative variazioni, mentre lo stesso identico profumo, ma ricavato sinteticamente, non provoca alcun tipo di reazione cerebrale.
Il problema è che questa scoperta mi fece capire anche che se è vero, come la bioterapia nutrizionale afferma, che istintivamente siamo portati a desiderare ciò che ci fa bene (parliamo sempre di persone che si sono già incamminate sulla strada della consapevolezza, quindi che hanno un buon grado di conoscenza delle proprie sensazioni), e in un determinato momento abbiamo voglia, poniamo, di vaniglia, assumendola in forma sintetica non facciamo altro che fare il nostro organismo (perdonate l’espressione napoletana) “fesso e contento”. A che pro?
Beh, la conclusione per me è stata una sola: non ho mai più acquistato cibo che contenesse additivi sintetici, neanche uno, neanche mezzo.
Ecco fatto. Vi lascio in ottima compagnia; come leggerete Matteo Giannattasio ha idee molto chiare, anzi chiarissime, su questo e su tanti altri argomenti che riguardano l’alimentazione e il rapporto tra la qualità di ciò che mangiamo e la nostra salute.
E mi siedo qui, accanto a voi, ad ascoltare, anzi prendo anche un taccuino, che non voglio perdere una parola :-)

Miei cari, subito una raccomandazione: pazienza e attenzione. Entrambe sono indispensabili per fare il percorso che stiamo intraprendendo per arrivare ad essere in grado di giudicare la qualità di un alimento dagli ingredienti che contiene.
Pronti? Via.
La legge impone che per ogni prodotto alimentare si riporti in etichetta la lista degli ingredienti. Inoltre stabilisce che gli ingredienti siano elencati in ordine decrescente di quantità. Pertanto, l’ingrediente indicato per primo è quello presente in maggiore quantità e quello indicato per ultimo in minore quantità. Questa informazione, ed altre che vi darò in seguito, sono fondamentali per il fine che ci siamo proposto.
Le ragioni per le quali ben poche persone leggono le etichette sono diverse. Oltre all’umana pigrizia, ci sono i caratteri così piccoli delle scritte che si fa fatica a leggerli anche se si gode di ottima vista. Poi esiste il problema di capire quello che c’è scritto perché gli ingredienti sono il più delle volte ignoti al consumatore.

Faccio un esempio ricorrendo agli ingredienti che si possono trovare nel panettone industriale (che ho scelto per iniziare questa rubrica). Il povero consumatore che legge zucchero, capisce che si tratta di quello che usa anche in casa per addolcire il caffè. Ma, se poi legge che tra gli ingredienti c’è anche lo sciroppo di glucosio, ha qualche difficoltà prima a capire che si tratta di un dolcificante come lo zucchero e poi a spiegarsi perché la ditta che ha prodotto il panettone ha usato, per dolcificare, sia lo zucchero che lo sciroppo di glucosio.
Eppure, teoricamente gli ingredienti riportati in etichetta dovrebbero servire al consumatore per giudicare se il prodotto che intende comprare è di buona o di cattiva qualità e/o per fare un confronto tra prodotti similari e scegliere in base al rapporto qualità/prezzo. Purtroppo non è così perché, per leggere e capire esattamente che cosa c’è scritto in etichetta, ci vorrebbe davvero una laurea in tecnologia alimentare.

E, poiché quasi tutti noi siamo pigri, non riusciamo a leggere le scritte e non le capiamo perché non abbiamo questa benedetta laurea, ecco che le etichette le leggono in pochi e si fa la scelta di un prodotto non in base alla qualità ma, orrore orrore, in base alla pubblicità televisiva. Il prodotto è reclamizzato alla televisione? Allora è buono.
È esattamente il contrario. I prodotti alimentari buoni non hanno bisogno di pubblicità. Sono quelli cattivi che invece ne hanno assoluto bisogno, altrimenti non si venderebbero, e per questo le ditte produttrici pagano fior di milioni di euro per le campagne pubblicitarie che poi incidono pesantemente sul prezzo che il consumatore paga.
Insomma, è il caso di dire che quando compriamo un prodotto pubblicizzato attraverso la televisione (ma anche attraverso altri media), rischiamo di pagare più per il fumo (della pubblicità) che per l’arrosto (cioè la qualità).
Una di queste mattine innevate, mentre facevo la mia solita corsa mattutina, mi è balenata un’idea (sapete, vengono tante idee geniali correndo): abbiamo un blog eccezionale, questo qua, una mia compaesana napoletana, Sonia, che è una donna onesta, coraggiosa, testarda, seria… (non vado oltre se no riempio tutto lo spazio con encòmi), un signore, questo qui, che ha fatto della corretta informazione sui temi dell’alimentazione un impegno sociale oltre che professionale (tengo appunto l’insegnamento “Qualità degli alimenti e salute del Consumatore” per gli studenti universitari del corso di laurea in tecnologie alimentari, e sono il direttore scientifico della rivista Valore alimentare che spero tutti voi conosciate e leggiate). Mi sono detto: il trigono è favorevole per un’avventura con la Sonia e con tutti voi.
L’avventura di arrivare a giudicare un prodotto alimentare dalla lettura dell’etichetta, senza avere la laurea di cui sopra. Vi chiedo soltanto di scrollarvi di dosso la pigrizia, se c’è (c’è, c’è, sì che c’è).
Pronti? Via col primo alimento sotto la lente, il panettone natalizio.