Non sono un tipo da neve, nononono. O meglio, mi piace moltissimo la neve esteticamente; a parte il fatto che è bianca, cosa che già da sola le conferisce ai miei occhi un fascino indiscutibile, e che questo bianco ricopre ogni cosa creando paesaggi fiabeschi e sognanti, e oltre ai fiocchi ovattati che cadono lentamente, amo anche molto il fatto che imponga paternamente un silenzio e una calma che in questa stagione dovrebbero essere naturali per tutto ciò che vive.

Però non sono di quelli che appena vedono due fiocchi corrono a mettersi tuta da neve e scarponi da sci, forse perché fin da piccola intuivo (si fa per dire) che quel tipo di sport non si addiceva alle nostre possibilità, come l’inverno in genere, che ho sempre ritenuto roba da ricchi (avete presente quanto costa vestirsi da freddo freddo quando ci si ostina a non utilizzare materiali sintetici?), e quindi il freddo significava semplicemente disagio e magliette molto aderenti e sintetiche a collo alto, anche se ai miei tempi (quelli del Klondike) a Napoli l’inverno era quasi uno scherzo.

Vorrei sottolineare che (se per caso qualcuno non se ne fosse accorto, magari uno c’è rimasto) qualcosa sta cambiando qui da noi, pianeta terra (presente): abbiamo inverni nettamente più brevi e sensibilmente più rigidi, cosa che devo dire non mi dispiacerebbe (meglio pochi giorni innevati che una lunga agonia freddolosa), se non fosse che non siamo attrezzati né fisicamente né mentalmente per situazioni come quelle di questi ultimi due giorni.

Macchina e strade seppellite da tipo mezzo metro di neve e dispensa semivuota da mancanza cronica di voglia di uscire (abbiamo già avuto le nostre oggettive difficoltà ad aprire le persiane dei balconi al mattino) per andare a reperire viveri consapevoli; e per dirla proprio tutta, mi sa che non si sono attrezzati neanche quelli che dovrebbero gestire le nostre città, dato che non ho visto macchine spargisale né succedanei di alcun tipo da queste parti… solo uomini (e pale) di buona volontà.

Qui a Formello, nella civile Roma nord, zona Cassia-Olgiata per capirci, stavamo messi come vedete nelle foto, e se da un lato ogni volta che aprivo la finestra mi beavo delle folate di profumo di neve, dall’altro devo dire che abbiamo avuto un gran… ehm… una gran fortuna, visto che molti amici nostri sono rimasti senza corrente (e spesso senza telefono) e senz’acqua per tipo tre giorni, e nell’impossibilità di muoversi perché la neve è rimasta sulle strade, e nessuno ha pensato a comprare catene (anche perché nessuno era stato avvertito).

Noi almeno abbiamo cambiato la caldaia *il giorno prima* che nevicasse, dopo due mesi di acqua fredda e riscaldamento a singhiozzo, e fino adesso abbiamo potuto affrontare il freddo con una certa tranquillità.

Certo, la situazione comincia a diventare preoccupante per quello che riguarda i rifornimenti alimentari, visto che la strada è ghiacciata e la macchina è ancora seppellita dalla neve, ma spero nella divina provvidenza (travestita da una temperatura a due cifre) entro pochi giorni (tipo *uno*).

E che si fa quando si rimane bloccati in casa e arriva l’ora di pranzo, oltre a guardare fuori dalla finestra con le sopracciglia alzatissime e un sorriso ebete e a cercare di farsi venire in mente giochi calmi per bambine supereccitate e saltellanti per tutta la cucina (promemoria: ricordarsi di non dire mai ai bambini “dopo puoi uscire a fare un pupazzo di neve”, se non si vuole passare la giornata ossessionati da una vocina squillante che ripete ogni trenta secondi “adesso è *dopo*? adesso è *dopo*? adesso è *dopo*?!!”)?

La pulcina, che ve lo dico a fare, è impazzita. Per farvi capire la situazione vi cito un post di zac su facebook, che descrive quello che succedeva in casa meglio di qualunque altro commento :-D

Bambina 4enne per casa: “neve! neve! neve! facciamo un pupazzo, facciamo a pallate, facciamo gli angeli nella neve, facciamo i castelli di neve, facciamo una granita con la neve, usciamo sui balconi, usciamo in terrazza, andiamo per strada, ci perdiamo nel bosco, andiamo in slittino, possiamo rotolarci nei cumuli di neve, possiamo buttare delle cose dai balconi per vedere se affondano?” da tre ore. Sua madre che continua a ripeterle calma: “per qualsiasi cosa che riguardi neve, freddo e inverno parla solo con tuo padre”. Solo ora capisco i cacciatori Inuit che, da soli, vagano per giorni tra i ghiacciai tra orsi polari, ipotermia e aurore boreali.

Si apre il frigo, si constata che le risorse sono inesistenti, si dribblano le proposte oscene dell’uomo di casa (quinoa burro e parmigiano??!!! Ma che è?!), e si opta per una cosa con tipo tre ingredienti, ma che sia lo stesso sana, croccante, calda e anche un po’ festosa. Come queste crocchette di riso, originarie di un blog molto carino :-)

Ho recuperato una crosta (bella cicciona) di parmigiano, due foglioline di prezzemolo intontite dal freddo, una confezione intonsa di riso Rosa Marchetti biodinamico, qualche uovo superstite (in genere compro uova in quantità adatte a un esercito, il fatto che siano agli sgoccioli anche quelle dice tutto); et voilà, pranzo in piedi e bacetto riconoscente dalla pupa (me li rifai anche stasera? e me le metti nel pentolino della scuola? e le posso avere ogni giorno?) %-P

Ingredienti:
200 grammi di riso
2 uova felici
una crosta cicciona di parmigiano
1 spicchio d’aglio
sale marino integrale quanto basta
olio extravergine d’oliva
qualche fogliolina di prezzemolo
pepe nero in grani (per i grandi)

Per prima cosa cuocete il riso, mettendolo in un pentolino fondo e aggiungendo acqua fino a coprirlo di un paio di dita. Coprite e mettete a cuocere a fiamma bassissima fino a quando l’acqua sarà completamente assorbita. Tenete conto che ad un certo punto vi toccherà togliere il coperchio altrimenti l’acqua deborderà e finirà tutta sul fornello (e non auguro a nessuno di pulire un misto di acqua e amido di riso incrostati sul fornello – non che mi sia successo, eh, nooooooo…). Appena l’acqua sarà assorbita coprite nuovamente e lasciate riposare una decina di minuti.
Mentre il riso si raffredda sbattete le uova, poi grattugiate dalla scorza del parmigiano tutto quello che potete; grattate con un coltello a lama piatta la crosta che rimane (o tagliate via e gettate la parte “stampata”) e riducete quello che rimane a cubetti; aggiungete il tutto alle uova, insieme all’aglio grattugiato, tritato finemente o passato attraverso lo spremiaglio, il prezzemolo tritato, il sale e il pepe.
Mescolate tutto per bene, poi prendete una padella (preferibilmente di ferro), versateci dentro tanto olio d’oliva quanto ne serve perché le crocchette che farete rimangano quasi completamente immerse e mettetela a scaldare sul fuoco a fiamma medio alta, fino a quando se immergerete la coda di un cucchiaio di legno non si formeranno tante bollicine che si allargheranno a raggiera verso l’esterno.
Intanto che l’olio raggiunge la temperatura giusta (fate molta attenzione che non superi il punto di fumo altrimenti dovrete gettarlo – e per gettarlo intendo aspettare che si raffreddi, metterlo in una bottiglia e portarlo ai centri di raccolta differenziata), esercitatevi a fare le quenelle; non si tratta altro che di armarsi di due cucchiai, prendere una cucchiaiata abbondante di impasto con uno dei due e passarla nell’altro cucchiaio, e poi ripetere la cosa altre due o tre volte fino a quando non si formerà una specie di gnocco allungato (eccovi un video nel quale potete vedere chiaramente di cosa sto blaterando).
Friggete le quenelle di riso fino a quando non avranno un bell’aspetto dorato, cercando di fare attenzione a far finire i pezzetti di scorza di parmigiano all’interno e non ai bordi. Servitele caldissime, magari con un po’ di verdura cruda a parte (un bel finocchio tagliato sottilissimo condito con olio, sale e aceto balsamico, per esempio).