Sì, è una citazione da questo capolavoro :-)
Andatevelo a guardare e fatevi due risate, che sto per appiopparvi un’altra riflessione/mattonata sull’alimentazione. Chi non ha voglia di discorsi seri ha cinque secondi per cliccare fuori, prestoooooo!

La domanda che mi sono fatta questa volta è fino a che punto sarebbe necessario cambiare l’organizzazione delle cose. Quanti passi indietro bisognerebbe fare per poter finalmente ricominciare a camminare verso un modo di alimentarsi (e quindi di vivere) intelligente, o meglio saggio.
In questi due anni di blog (che naturalmente sono solo la punta di un iceberg che galleggia nella mia testa e nel mio stomaco da molto molto più tempo) ho capito che ci sono alcuni punti fermi, tipo:
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  • gli ortaggi migliori in assoluto sono quelli coltivati senza l’aiuto dei vari supporti sintetici, lasciati maturare tutto il tempo che gli serve, e possibilmente appena colti (conservare il cibo richiede inoltre una serie di stratagemmi tipo l’irradiazione che sfiorano la follia);
  • la terra va rispettata, vale a dire non bisogna pensare al raccolto di subito, ma ad aiutarla a rimanere in grado di darci altri raccolti nel tempo; ci sono tanti metodi per farlo, vedi Steiner e Permacultura di cui vi ho parlato varie volte; metodi che in generale non prevedono il latifondo: le coltivazioni devono essere piccole altrimenti si rende comunque necessario intervenire in qualche modo, e intervenire è proprio quello che si dovrebbe cercare di evitare per quanto possibile;
  • rispettando tempi, modi e terra il raccolto che si ottiene è estremamente inferiore rispetto a quello che si ottiene con l’aiuto della chimica sintetica; se ho ben capito anche la metà, e molto spesso si rischia di perdere raccolti completamente, cosa che vuol dire quest’anno non si mangia;
  • scegliere invece di fregarsene e pensare ai problemi contingenti, quindi forzare ritmi e tempi naturali, o addirittura modificare geneticamente un ortaggio piuttosto che un cereale e quant’altro, è non solo rischioso, ma anche presuntuoso e pochissimo lungimirante; la bandiera di chi sceglie questa direzione è “se non facciamo così tra pochissimo non ci sarà abbastanza cibo per tutti”; contesto assolutamente la parte “se non facciamo così”: c’è sempre una soluzione intelligente (e complicata, e più lenta) al posto di una stupida, ma facile e veloce.
    Inoltre credo molto nell’alternativa “mangiare meno” (che ci renderebbe infinitamente più sani) e “non sprecare il cibo” (andate a fine servizio nella cucina di un ristorante; viene da piangere).

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Ovviamente stessa cosa per quello che riguarda l’allevamento degli animali; ne abbiamo parlato tanto che mi sembra anche assurdo ripeterlo, ma basta dire che la carne di manzo (e il latte, il formaggio e tutto ciò che ne deriva) e quella del pollo (e le uova relative) sono talmente compromesse da essere praticamente immangiabili, a parte alcuni casi che si spera rimangano per molto tempo le isole felici che sono.
Speranza a causa della quale persino io, che sono una che se potesse metterebbe i cartelli con le indicazioni dei posti giusti dove acquistare il cibo su striscioni appesi ai balconi di casa, quando trovo l’allevatore di polli intelligente, in grado di vendermi un pollo vero a un prezzo onesto, tremo a passare il contatto (ma poi lo faccio lo stesso), per la paura che quest’ultimo avendo tante richieste abbia la necessità di ingrandirsi e quindi di abbassare decisamente la qualità.
Che altro.
Acquistare solo nei supermercati biologici (parlo di catena nazionale, quindi della Ecor, che se non sto dicendo una stupidaggine possiede praticamente tutta la grande distribuzione bio italiana, tramite i vari naturasì, b’io, biopolis a roma e così via) presenta vari svantaggi (a parte il prezzo che inevitabilmente lievita per via dei vari passaggi verso il consumatore).
Per carità, la Ecor ha l’enorme merito di aver avvicinato al biologico tantissime persone; molte mie amiche che abitano ai castelli hanno potuto convertirsi al bio solo grazie a un biopolis aperto da un annetto ad Albano.
Resta però il fatto che ormai non tutti i prodotti che vi si trovano sono buoni (ho comprato l’altro giorno un pollo in uno di questi negozi; non vi posso dire che se era allevato a terra io mi chiamo Margaret Thatcher, perché non mi posso permettere una denuncia da parte di un colosso che ha un sacco di soldi e che produce milioni di chili di carne bianca, ma chi vuole capire capisca), e bisogna quindi leggere sempre molto bene le etichette anche lì. Certo sempre meglio del discount, ma personalmente non mi sento tutelata dalle certificazioni biologiche, anche perché non ci si capisce nulla, è un vespaio assurdo dove non si sa chi controlla cosa; c’è l’ente certificatore più serio e quello più morbido, ma su quali siano quelli affidabili neanch’io che sono la più grande rompiscatole esistente sono riuscita a capirci qualcosa.
Tirando le fila il quadretto che viene fuori è quasi ridicolo: l’unico modo che vedo per mangiare in un modo sano è avere il proprio (o condiviso con poche persone di fiducia) orto e i propri animali, oppure moltissimi piccoli produttori e allevatori di un certo tipo, a portata di mano, cioè a pochi chilometri dalla propria abitazione.
Non si tratta di fare un passo indietro per farne due avanti dopo, qua bisognerebbe tornare a cent’anni fa.
E che facciamo? Se a qualcuno non piacesse fare l’agricoltore, ma che so, il marketing manager (ah, già, quel tipo di figura mi sa che decadrebbe, o no?), vabbeh, il giornalista? O se a qualcuno piacesse semplicemente scrivere e cucinare, come a me, e lavorare con la rete?
Voi che pensate?
Restare dove siamo non è più possibile, lo sa bene chi mi legge, perché purtroppo il pasto nudo è frequentato principalmente dai “fortunati” che sono reduci da qualche malanno fisico (lieve, medio, grave e anche gravissimo), e che si sono resi conto che nutrendosi in modo consapevole hanno risolto (o attenuato moltissimo) i loro problemi.
È raro che qualcuno si interessi a complicare così tanto la propria vita senza che ci sia stato costretto dalle circostanze (compresa me, che come sapete sono stata portata a fare tante scelte dai variegati problemi che avevo).
Gli altri comunque seguiranno a ruota. Basta guardare l’esponenzialità dell’intolleranza al glutine e di moltissimi altri acciacchi vari (anche il semplice mal di testa, che può essere molto invalidante) che la gente sta accusando.

Credo che l’unico motivo per cui le persone non cambiano il proprio modo di alimentarsi e di vivere è che negli ultimi trent’anni siamo stati convinti da non so chi (…) che le malattie ci cadono in testa per caso o per sfortuna, e che non c’è nulla che possiamo fare perché non ci colpiscano o per curarle, se non con la farmacologia sintetica (sintomatica, aggiungerei io).

Ci hanno tolto il controllo, sostituendolo con duemila paure e ansie, e una strisciante ipocondria (e ci credo che siamo ipocondriaci, ci pende una spada di Damocle in testa dai cinque anni in poi).
Non lo so. Non è che sono scoraggiata, assolutamente, sto solo cercando di capire in che direzione dobbiamo andare.
Siamo appena arrivati a un altro bivio, il biologico come sta diventando (cadendo nelle stesse logiche che già conoscevamo nel non biologico) non è una soluzione.
Ehm. C’è qualcunooooo??
Si sentì solo il rumore dei cespugli rotolanti (c’è anche un fan club, eheheh, potevo non iscrivermi?).