Dunque… eravamo rimasti alle dritte del “Salute naturale” di un dicembre antico e al progetto (in due parti) di depurare l’intestino con le radici e nutrire il cervello. Con i semi. Quando penso ai semi capisco che discendiamo dalle scimmie. Da piccola, ricordo che adoravo quei tre o quattro girasoli che mio padre aveva in campagna. Mi procurava un piacere indescrivibile, il fatto di spaccarli coi denti, di sentire il *clic* e di gustare quel piccolo semino dal sapore intenso.
semelogia
Però, che lavoro! A pensarci ora, mi sa che era un gran bell’esercizio pro-pazienza. Adesso, che li compero già sgusciati (non ne trovo, di interi…) ne mangio molti di piú, con tutta la mano nel sacchettino… ehm… sorvoliamo. Mi sa che i semi piacciono a tutti i bambini (alla mia, di sicuro, che vivrebbe di pasta col pesto). Forse perché seguono ancora l’istinto, anche nel nutrirsi… mah! Ho trovato, in questo sito (di una scuola! Meraviglia!) un sacco di notizie interessanti sui semi oleosi.
Per esempio, del seme di girasole scrivono, tra le altre cose, che ha “un alto tasso di proteine le quali, benché siano carenti di lisina, sono bene assimilabili. Sono sorprendenti i contenuti di vitamina B1, ma anche il ferro, di vitamine D, E, A e PP, di magnesio, potassio, zinco, manganese e cobalto, nonché di fibre alimentari. Possiede proprietà antibatteriche, antinfettive, ricostituenti, rimineralizzanti, energetiche, fluidifica il sangue, protegge il sistema cardiovascolare ed equilibra quello nervoso. Un vero portento, da raccomandare nell’alimentazione dei bambini e delle donne durante la gravidanza e l’allattamento.” Altre informazioni e consigli (molto concreti: evviva!) possiamo trovarli qui.
Dunque, vediamo se riesco a concentrare tutte queste notizie sparse sulla scrivania (e in tutta la casa… eh eh), tra libri pieni di post-it e riviste e siti internet. Mi piace immaginare questo scritto come una specie di ponte tra dicembre e gennaio. Invernale, comunque. Sicuro. Non fosse altro che per questo color panna-crema che accomuna tutti i semi oleosi. Più o meno.
I semi sono piccoli scrigni di luce. Sono, inoltre, il rimedio per eccellenza dei disturbi legati all’epifisi: insonnia e depressione, tanto per citarne due a caso. Parlare dell’epifisi è un’impresa, per chiunque. Figuriamoci per me. Ho chiesto aiuto al mio amico Francesco, il mio “Dottor Kildare” preferito, che sa sempre tutto ma tutto. Innanzitutto nemmeno la scienza ha ben chiara la faccenda. E questo mi piace; oh sì, non potete immaginare quanto mi piace.
Scusate la parentesi, ma è importante: ho appena finito di leggere il libro di Michael Pollan “In difesa del cibo” (sto pensando a come sdebitarmi con il mio amico Marco per questi gioielli che ogni tanto mi spedisce, ed in italiano, per di più);
Pollan, dicevo, smonta il nutrizionismo, e la presunzione di quegli scienziati/nutrizionisti/chimici/giornalisti che pensano in termini di nutrienti, di particelle, di chimica alimentare. Estrapolandola dal contesto. Dai cibi, appunto. Ma anche dal modo in cui vengono mangiati, mescolati, gustati. Dal come, dove, quando e con chi entrano a far parte del nostro essere. Dalla “cultura alimentare”, insomma.
Certo, mi da un gran bel senso di sicurezza, e una certa sensazione di essere sulla strada giusta, il fatto che chi studia queste cose mi confermi che fa bene mangiare cavoli e broccoli in dicembre perché i nutrienti contenuti mi aiutano a rafforzare il sistema immunitario e prevenire così le malattie tipiche invernali. Ma li mangerei comunque. Perché questo cresce, qui, in inverno. Non ho molta altra scelta. E mi rendo conto che anch’io, talvolta, cado nella trappola delle “vitamine e minerali e blablabla”, nei miei post sul mangiare stagionale. Forse perché penso che chi legge abbia bisogno di queste conferme, come me. Oppure lo faccio per dare una parvenza di serietà e autorevolezza a ciò che scrivo. Una sorta di insicurezza cultural-alimentare. Sicuramente perché mi affascina che la tecnica e la scienza moderne confermino quello che la tradizione culturale delle nostre bisnonne già aveva scoperto dopo anni e annissimi di esperimenti. Non so. Ma d’ora in avanti, sicuramente, lo farò in modo consapevole. Chiusa parentesi.

L’epifisi, dicevamo. Questa piccola ghiandola, simile ad un pinolo (è detta anche “pineale”), sembra voler nascondere i suoi segreti in quella pigna che è il nostro cervello (ok, parlo per me). Secondo gli antichi si occupava di distribuire la luce (insieme all’ipofisi, che si sarebbe occupata di distribuire la materia).
Produce un ormone fondamentale nella regolazione del ritmo sonno-veglia, la melatonina. Ehm… avrebbe anche altre funzioni, tra le quali quella di intervenire sullo sviluppo e sull’attività degli organi sessuali (gli alchimisti, che consideravano questa ghiandola una sorta di occhio interiore, pensavano che ci fosse una sorta di “epifisi più bassa”, la prostata, portante luce su un piano meno elevato e più, diciamo così, materiale… e molte tradizioni mediche curano i problemi di prostata coi semi. Di zucca).

La produzione di melatonina, come sottolinea Piero Fornari (sempre su quel famoso “Salute Naturale” già glorificato), “non riguarda solo il dormire o lo stare svegli, ma la luce ed il buio presenti in ogni organo, e quindi la delicata ciclicità della produzione ormonale ed enzimatica”. In dicembre l’epifisi lavora il doppio, ché deve diffondere la nuova luce crescente dopo il solstizio, riequilibrando alla radice tutti i ritmi ed i cicli vitali, ponendo le basi per vivere al meglio l’anno nuovo.
È il momento di aiutarla, poverina ;-))
I semi, dicevamo, le piacciono molto. Non so chi è l’autore (che non è riportato, sulla rivista), ma trovo estremamente poetica l’analogia epifisi-semi: “piccoli concentrati di luce naturale, i semi racchiudono, dentro un guscio protettivo, il principio vitale che permette loro di affrontare i mesi del letargo invernale per poi rinascere in un frutto nuovo. Come l’epifisi che, racchiusa nel punto più segreto della scatola cranica, attende il sole primaverile per sbocciare a nuova vita”. Ah no?
Il responsabile di questo bendiddio è un aminoacido essenziale di cui i semi sono ricchi, il triptofano. Oltre alla regolazione del ritmo sonno-veglia, viene convertito dal cervello in serotonina, il cosiddetto ormone della felicità. Che fa bene tutto l’anno, per carità, ma in dicembre va via come il pane. Ecco la spiegazione scientifica di quello che la mia pancia sa da quando è nata. Che a dicembre le viene voglia di semi oleosi. Ed ecco forse anche spiegato perché le ricette tradizionali del luogo in cui sono nata straripano di pinoli e mandorle e noci e fichi secchi, in dicembre (che da piccola mi chiedevo dove sparissero, poi, per il resto dell’anno…).
I semi che contengono piú triptofano sono gli anacardi (378 mg per 100 gr), le arachidi (305 mg per 100 gr) ed i lupini (314 mg per 100 gr). Per i primi due si consiglia di non esagerare con le dosi, anche perché estremamente calorici. I lupini (sí, quelli dei Malavoglia del Verga!), invece, chissenefrega, che pare non siano poi così pieni di calorie.
Alcuni consigli? Mai con carne e uova. Perché inibiscono il trasporto del triptofano al cervello. Così il tasso di serotonina non si alza e l’umore nemmeno. Invece, un piatto di pasta o di carboidrati, la sera, con una porzione di semi predispone ad un sonno assicurato. Al mattino, per iniziare la giornata belli felici, proviamo a tritare (a crema) i tre semi citati qui sopra (sgusciati e senza pellicine), o altri a piacere, mescolarli con un poco di miele (di fiori d’arancio, il più luminoso), e spalmare poi il tutto su una fetta di pane tostato. Che gli zuccheri del miele aumenteranno di molto la biodisponibilità del triptofano. Magari senza caffè, per una volta; anzi, con caffè d’orzo (il silicio contenuto aumenta l’efficienza mentale).
Ecco. Per me, il riassunto estremo di tutto quello che ho letto su questo tema si racchiude in una parola: pinoli. Piccoli, con quel color avorio che sembra irradiare luce, preziosi (certo, ma lo sapevate che per ottenere un chilo di pinoli occorrono trenta chili di pigne, ed una pigna impiega tre anni per maturare?), ricchissimi, quasi grassi. Non riesco a mangiarne più di cinque o sei. Non ci riesco proprio, a mangiarli *dentro qualsiasi cosa* (sí, sono una di quelle che toglie i pinoli da tutto, perfino dallo strudel!). Solo pestatissimi, a crema. O, massimo gaudio, puri. Pochi, pochissimi, tipo pasticca medicamentosa. E me li gusto. O sí, se me li gusto. Con gli occhi chiusi ed il naso aperto.
Per chi volesse saperne di piú, sui pinoli, ecco alcuni siti: questo è per i tecnici; e questo è quello che dovrebbero sapere gli studenti di una scuola alberghiera (mah!). Questo è quello della medicina ufficiale.
La domanda che mi è balzata subito in mente è stata: Ci sarà una correlazione tra il fatto che i nostri nonni mangiavano semi nel periodo di maggior buio e non assumevano antidepressivi o ansiolitici o integratori? Ci abbiamo guadagnato, a tralasciare tutte queste tradizioni cultural-alimentari? L’assunzione di Viagra è inversamente proporzionale a quella di pinoli? (Scriveva Plinio: “i pinoli spengono la sete, calmano i bruciori dello stomaco e vincono la debolezza delle parti virili”).
In realtà il mio amico Francesco mi ha confessato che ci sarebbe un luogo ancora più misterioso, per la scienza, nel nostro cervello, che pare entri in gioco quando si parla di emozioni. Vi dico solo che hanno deciso di chiamarlo “amigdala”. Mandorla.