Essendo nata e cresciuta fino a diciott’anni in piena città, e di mare, oltretutto, mi sono persa tutte le opportunità della vita in campagna, totalmente inconsapevole di ciò che mi stava scorrendo accanto :-(
omelette alla vitalba
Certo, so come scegliere il pesce e come districarmi tra i vicoli di una città di antichi fasti e attuale decadenza, ma tra le capacità che mi mancano quella che mi dispiace di più non avere – sopra tutto adesso che vivo in campagna – è sicuramente il saper riconoscere le varie erbe commestibili o aromatiche, e il come utilizzarle.
Per fortuna, a parte Antonietta che mi mostra cosa posso raccogliere senza avvelenarmi, ho un’altra risorsa che voi ben conoscete, e che in quanto a ricerche in rete è un vero e proprio asso nella manica. Non che possa chiederglielo spesso, ma questa volta la carta me la sono giocata perché veramente non mi ci raccapezzavo più con questi benedetti germogli che tutti chiamano in un modo diverso… o uguale.
Vi spiego. Quando, durante una passeggiata Antonietta me li ha mostrati, dicendo che con quelli e un po’ di uova (allungate con acqua!) la sua mamma risolveva la cena per lei e tutti i suoi fratelli e sorelle, a me sembravano solo una pianta rampicante, bella aggressiva oltretutto. Lei continuava a chiamarli la “vitabbia” e da lì vai a risalire a cosa si riferiva 8-/
Poi in rete ho trovato varie volte ricette con i bruscandoli, o bruscansi, ad esempio proprio ultimamente dalla mitica golosastra, o l’anno scorso dall’imperdibile (e fortunata… anch’io voglio una nonna raccoglitrice di erbe selvatiche!) Sara, che sono i getti apicali del luppolo selvatico (che quando non viene usato per fare la birra è “una pianta infestante, coperta da una peluria irritante, che si aggroviglia attorno alle siepi”), e che vengono spesso confusi con quelli che ho raccolto io, che finalmente ho scoperto essere i germogli della Clematis Vitalba, pianta appartenente alla famiglia delle velenose ranuncolacee, usata anche per uno degli strafamosi fiori di Bach.
Tanto per riuscire a capirci qualcosa tra i vari (stupendi) dialetti italiani antichi, i bruscandoli vengono chiamati anche aspargina, luartis, lavertìn, luvertìn, luperi, vidisone, vartìs, urtizon, bertüçi, viticedda, lopporo, o tavarini (puff…). Sembra siano rinfrescanti, sedativi, diuretici, lassativi, purifichino il sangue e stimolino il fegato. Io però non lo so. perché purtroppo non li ho mai provati (ma sono nella lista delle 961436167 cose da fare prima di tirare le cuoia). Sono un bel po’ più conosciuti della vitalba, ci sono addirittura la sagra *mondiale* del bruscandolo, i canederli di pane nero con bruscandoli, risotti come se piovesse, sugo di bruscandoli, gnocchi e pappardelle di bruscandoli, e le tartellette ai bruscandoli :-P
I germogli di vitalba, considerata l’unica liana europea (anticamente i tralci venivano utilizzati per intrecciare cesti e panieri – non in Italia però, dove per tradizione si utilizza la canna e l’olmo), sono invece chiamati anche vezzadri, ligara, mitarbi, mitabbi, liara, viterbi, e… vitabbia (ecce homo!) :-)

La pianta è velenosa da cruda, e strofinata sulla pelle è ulcerante. Pare che nell’antica Francia i mendicanti ci si provocassero delle piaghe strofinandosela sulla pelle, per provocare un po’ di pietà; per questo motivo in Francia la vitalba viene chiamata anche “Herbe aux gueux”, cioè erba dei cenciosi. Le proprietà tossiche (parliamo di diarrea ed enteriti, anche gravi), sono però presenti in quantità poco rilevanti nei germogli, inoltre sono termolabili, quindi bisogna innanzitutto sempre sbollentare i germogli (e raccogliere solo quelli più teneri e nuovi) prima di consumarli, e poi non eccedere nel consumo. Pochi, teneri e ben cotti :-)

Ho letto qui che viene comunque sconsigliata ai bambini, alle donne incinte e ai soggetti particolarmente sensibili. A questo punto, se ancora la volete dopo che vi ho detto che la Vitalba è velenosa, difficile da riconoscere e complicata da gestire, vi scrivo la ricetta, prima che abbiate novant’anni (e io centodue), ma non senza avervi detto che io l’ho mangiata, era strabuona e sono ancora viva.

Ingredienti:
3 uova fresche di galline felici
un mazzetto di germogli di Clematis Vitalba
sale integrale
pepe bianco
olio extra vergine d’oliva

Innanzitutto avete bisogno della padella giusta. Personalmente ho usato quella di ferro (per tre uova ne serve una di circa 18 cm di diametro di base), ma credo che una buona antiaderente senza teflon (tipo la gastroguss, ricordate?) farebbe ottimamente il suo lavoro.
Il resto è di una semplicità sconcertante: lavate i germogli di vitalba e bolliteli per qualche minuto, scolateli e lasciateli raffreddare e asciugare il più possibile.
Sbattete le uova in una ciotola con una forchetta, solo quel tanto che basta perché i tuorli e gli albumi siano mescolati, quindi trenta secondi – *non* devono diventare un composto perfettamente omogeneo e liscio di color arancione, mi raccomando!
Incorporate il sale e i germogli di vitalba, mescolate un pochino e poi versate immediatamente nella padella molto calda, nella quale subito prima di versare il composto di uova verserete un filo d’olio d’oliva (non deve fumare, quindi olio – e dopo *meno* di mezzo secondo – uova).
Vi consiglio di fare questa operazione il più velocemente possibile perché i germogli scuriscono le uova, facendo assumere all’omelette un colore grigio-verdastro.
Con una spatola cercate di fare in modo che il composto liquido si diriga sopra tutto al centro della padella: l’omelette deve assolutamente rimanere “baveuse” al centro (non è che voglio usare parole straniere per darmi un tono, è solo che “bavosa” era proprio brutto, e liquida non rendeva l’idea), altrimenti è una frittata :-P
Quando l’omelette sarà cotta sui lati ma ancora bella morbida e quasi fangosa al centro, inclinate la padella, ripiegate un terzo dell’omelette verso l’interno, poi l’altro terzo, fatela scivolare su un piatto caldo e servite immediatamente.
Se volete potete anche ripassare la vitalba con aglio olio e peperoncino prima di aggiungerla alle uova, oppure semplicemente aggiungere peperoncino piccante tritato nel composto, io non l’ho fatto perché volevo sentire bene il sapore della velenosona :-)