La storia del gelato è la stessa di tanti altri alimenti che sono caduti nelle mani implacabili dell’industria: è diventato la brutta copia di se stesso. Quando si preparava in casa o nelle gelaterie artigianali, il gelato era fatto con ingredienti freschi e di ottima qualità (latte, uova, zucchero, frutta). Per questo era non solo saporito e rinfrescante, ma anche di alto valore nutrizionale.

L’industria alimentare ha compiuto un’operazione spregiudicata: ha sostituito gran parte di questi nobili ingredienti con altri scadenti, come latte in polvere, grassi vegetali, additivi e sostanze di vario genere. Il risultato è che il gelato non nutre più (i dietologi che si ostinano a dire che un gelato vale un pasto commettono un grave errore), non è più gustoso (anzi provoca un certo disgusto in chi ha il palato non abituato agli intrugli che l’industria propone come alimenti), e non rinfresca nemmeno più (anzi lascia una sete da pazzi dopo averlo consumato). Stando così le cose, c’è da chiedersi se ha ancora senso mangiare in estate gelati del genere che costano sì poco più di un euro ma non valgono niente.

Questa è la storia, che ho vissuto da consumatore, degli eventi che hanno portato allo scadimento della qualità del gelato.

In principio era il sorbetto al limone, una mistura di acqua, succo di limone e zucchero, che aveva il candore, la consistenza e la natura algida della neve. Dolce e rinfrescante ad un tempo, era per noi bambini reduci dalla miseria e dalla fame della guerra, ad un tempo leccornia e refrigerio per l’estate.

A venderlo per istrada c’erano gelatai ambulanti che, incuranti del solleone, trascinavano il loro carrettino-gelateria adornato di tanti turgidi e profumati limoni. Poi i limoni esposti diventarono di plastica, che a guardarli mettevano tristezza; il prezioso e rinfrescante succo che se ne ricavava venne sostituito da aromi di incerta natura e dal sapore equivoco, e così smisi di mangiare il sorbetto. Ma il peggio doveva ancora venire.
Ricordo che prima dell’avvento dei frigoriferi, per conservare il cibo durante la stagione estiva si utilizzavano enormi pezzi di ghiaccio a forma di parallelepipedo. Li vendevano appositi negozi e ai fratelli più grandi toccava il compito di trascinarli in spalla fino a casa. Che fatica, ma la spalla non si ghiacciava perché la si proteggeva dal freddo con un panno ricavato da logori sacchi, credo di juta.
Ma quel ghiaccio serviva anche ad altro: scorticato a poco a poco con una grattugia (un piccolo arnese di alluminio provvisto di lama simile a una pialla) dava del ghiaccio sminuzzato che a Napoli chiamavamo “rattate” (leggi “grattata”). Condita con succo di limone o con uno sciroppo (amarena o menta, religiosamente fatto in casa), si offriva come rinfresco agli ospiti.
Ma, da giovincello, ospite di una famiglia ricca perché compagno di scuola del rampollo di casa (e più bravo di lui in latino e greco, insomma una sorte di moderno precettore), scoprii che era usanza dei benestanti offrire, al posto della misera “grattata”, un vero gelato preparato con ingredienti di alto pregio nutrizionale, perché fatto di uova, latte fresco, zucchero e panna. Anche a causa del consumo di questi ipercalorici gelati, l’obesità era allora un “privilegio” dei ricchi, oggi purtroppo è una prerogativa perniciosa dei poveri (soprattutto di quelli che lo sono culturalmente).
Intanto gli sciroppi diventavano sempre più industriali, di amarene e menta poco o niente ma di aromi e coloranti tanti, e così smisi di consumare “rattate” agognando un gelato da ricco.
Quando arrivarono le gelaterie artigianali, la mia voluttà fu appagata. Noi giovincelli ci concedevamo il gelato al pomeriggio di festa. Lo consumavamo passeggiando per il corso principale del paese guardando sott’occhio le giovincelle anche loro armeggianti con coppetta e cucchiaino. Per il pranzo domenicale delle famiglie le gelaterie proponevano lo spumone. Era squisito, ma il suo carico di zucchero, panna e uova, si sommava alla montagna di calorie dell’abbondantissimo pranzo domenicale (che durava ore ed era una sorta di rituale per esorcizzare lo spettro della fame tanto a lungo sofferta durante la guerra).
Vuoi che in pieno fervore consumistico l’industria alimentare non pensasse di portare dalla sua parte i golosoni del gelato? Fu così che arrivarono i gelati industriali, dai cornetti con la cialda croccante o quelli rivestiti di cioccolata e provvisti di stecchetta di legno perché fossero portatili, ai dolci-gelati da portare a casa per chiudere un pranzo. Con l’aggiunta degli addensanti il gelato si scioglieva più lentamente di quello artigianale, quindi lo si poteva consumare senza troppa fretta.
Stando ai dati, il gelato industriale ha avuto un successo enorme: oggi in Italia se ne consumano ogni anno più di 5 chili a testa. Ma che gelato mangiamo? Basta guardare gli ingredienti elencati in etichetta per rendersene conto. A mo’ d’esempio vi riporto quelli di due gelati tra i più reclamizzati e consumati, il cornetto Algida e il “Gran Soleil” di Ferrero.

Cornetto Algida

Si contano ben 20 ingredienti.
I primi della lista (quindi i più abbondanti) sono latte scremato reidratato (cioè latte in polvere sciolto in acqua), zucchero, farina, olio vegetale (probabilmente di cocco o di palma) e sciroppo di glucosio-fruttosio (si ottiene in laboratorio, di solito dall’amido di mais).
Della triade fondamentale del gelato di una volta (zucchero, latte e uova) è rimasto lo zucchero, mentre il latte fresco è stato sostituito da un suo sottoprodotto, il latte in polvere per l’appunto. E le uova dove sono andate a finire? Se ne trova una flebile traccia alla fine dell’elenco degli ingredienti, dove si legge albume d’uovo. Dunque, non l’uovo intero, ma soltanto l’albume, e per di più come ingrediente presente in minore quantità.
Mancando le uova, viene meno il potere che hanno alcuni loro componenti di tenere insieme, in forma di emulsione, la parte acquosa e quella grassa del gelato (che per loro natura tendono a separarsi). Questo il motivo per cui tra gli ingredienti del Cornetto Algida troviamo ben tre additivi alimentari che funzionano da emulsionanti, i mono e digliceridi degli acidi grassi (E 471), che sono prodotti trasformando chimicamente grassi per lo più vegetali; i fosfatidi di ammonio (E 442), che si ottengono legando il calcio ad acidi grassi vegetali; e la lecitina di soia (E 322), un sottoprodotto della produzione dell’olio di soia. Avrete notato che dopo aver mangiato un gelato del genere avvertite in bocca una spiacevole sensazione di grasso. È appunto l’effetto spiacevole di queste sostanze.
Ma non è finita. Nel Cornetto Algida c’è un altro additivo alimentare, l’alginato di sodio (E 401), un prodotto ricavato dalle alghe brune che ha potere addensante/gelificante, cioè fa sì che il gelato, una volta levato dal congelatore, invece di diventare rapidamente una brodaglia, rimane consistente per un po’ di tempo così da essere leccato o mangiato col cucchiaino mentre si passeggia o stando seduti al tavolino. Fate caso al fatto che, dopo aver mangiato un gelato del genere, avvertite sete. Il motivo è che gli alginati, non essendo digeriti, si concentrano nell’intestino e qui richiamano acqua dalle mucose generando la sensazione di sete.
Ci sono poi altri ingredienti di scadente qualità di cui il consumatore potrebbe fare tranquillamente a meno, come l’amido di patata e di frumento, le proteine del latte, e lo sciroppo di glucosio che si ricava dal mais.

Gran Soleil

Contiene anch’esso una ventina di ingredienti.
I primi della lista (quindi i più abbondanti) sono: acqua (sic!), zucchero, yogurt, succo di mandarino (9%) e grasso vegetale (probabilmente olio di palma o di cocco).
E, a seguire, ingredienti di scarsa qualità come amido modificato, alcool buongusto (?) e le solite proteine del latte. Non mancano gli additivi alimentari, sono quattro e comprendono un esaltatore di sapidità (sciroppo di sorbitolo – E 420), un acidificante (acido citrico – E 330), un addensante (pectina – E 440) e un emulsionante (esteri di saccarosio di acidi grassi – E 473).
È commercializzato in forma liquida, poi quando lo si vuole consumare, si lascia nel congelatore e il gelato è servito. In etichetta si riporta, con lo spudorato intento di convincere il consumatore della bontà del prodotto, che non ci sono coloranti e conservanti. Bastasse questo per dare valore al gelato!
A mio avviso prodotti del genere non hanno niente a che spartire col vero gelato. E sostenere che valgano un pasto completo è un’eresia. Anzi, considerato che il loro carico calorico viene soprattutto dagli zuccheri, potrebbero far parte della malfamata categoria degli alimenti dalle calorie vuote, che annovera le bevande colorate e zuccherate e le merendine.
Non è che con i gelati “artigianali” oggi siamo messi meglio. Ci sono gelaterie che impiegano i “semilavorati”, gelati quasi pronti che le gelaterie comprano dalle industrie alimentari, addizionano di latte o acqua e poi “personalizzano” con piccole aggiunte allo scopo preminente di renderli più attraenti.
Altre usano “la base” industriale, che è una miscela di addensanti arricchita tra l’altro con proteine e latte in polvere, oppure il “neutro”, sempre industriale, che è una miscela di addensanti ed emulsionanti. Tali prodotti sono addizionati agli ingredienti caratterizzanti il gelato (latte, zucchero, ecc.).
Se si vuole fare una graduatoria per la qualità del gelato artigianale lo scettro va al gelato fatto soltanto di ingredienti freschi di qualità e addizionato di un addensante come la farina di semi di carrube. A scendere nell’ordine il gelato fatto con il “neutro”, poi quello con la “base” e infine quello con il “semilavorato”.
Fortunatamente, ci sono in commercio gelati ancora degni di questo nome. Purtroppo però sono delle rarità, e perciò bisogna andarseli a cercare col lanternino. Ormai ogni città ha qualche gelateria virtuosa. Anche nei negozi bio si possono trovare buoni gelati preconfezionati. Poi, se si va in Sicilia, si possono ancora gustare granite gelate come le facevano gli Arabi, cui va il merito di averle inventate.
Per capire se un gelato è davvero artigianale, dovete conoscere gli ingredienti utilizzati (da chiedere al gelataio sperando che ve li dia e correttamente).

Per orientarvi, eccovi alcune indicazioni:
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  • Meno ingredienti ci sono, più alta è la qualità. Un gelato che ha più di 8-10 ingredienti è poco credibile.
  • Gli ingredienti di un buon gelato artigianale sono: latte fresco, uova fresche, panna, zucchero. Accettabile un aroma naturale come l’estratto di vaniglia. Per i sorbetti: succo di limone o di altra frutta, (più ne contiene, più è pregiato), zucchero. Accettabile un addensante come la farina di semi di carrube (E 410). Da tener presente che se si eccede con gli addensanti si può avere fermentazione intestinale e sete.
  • Gli ingredienti che indicano che il gelato non è artigianale sono (lista non completa): latte scremato reidratato, latte scremato concentrato, siero di latte scremato parzialmente delattosato reidratato, latte in polvere, proteine del latte, oli e grassi vegetali, sciroppo di glucosio-fruttosio, lattosio, destrosio, albume d’uovo, tuorlo d’uovo, amido, emulsionanti, esaltatori del gusto, coloranti, aromi di sintesi, aromi naturali.

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Io, vivendo lontano dalle comodità della città, ed essendo poco propenso ad usare la gelatiera perché maldestro al massimo grado, mi sono inventato un gelato facile facile: mischio yogurt bio con frullato o succo di frutta fresca, lascio la mistura nel freezer fino a che non arriva alla consistenza del gelato (ci vuole circa un’ora). Lo tiro fuori e me lo mangio. Yogurt bio se ne trovano anche nei supermercati convenzionali, se ne può trovare uno (Scaldasole) che si fregia addirittura del marchio di qualità biodinamica Demeter, ma ve lo potete anche fare in casa con il latte a km 1000* seguendo le indicazioni della chiar.ma prof. culinaria Sonia.
Io trovo il mio gelato casereccio sano, saporito, nutriente e rinfrescante. E costa poco.
A volte, a pranzo, vuoi che il caldo leva la fame, vuoi che non hai voglia di cucinare, può diventare un pasto (insieme a frutta fresca e un pezzo di pane rigorosamente semintegrale e a pasta madre). Pasto povero? No, nutriente e dietetico.
Sulla rivista Valore alimentare (numero estivo 2012) nella rubrica “Occhio alla spesa” trovate il confronto per la qualità tra tre cornetti gelati.
Sul sito di Valore alimentare è appena uscito un mio post (Il caldo e la salute) dove, tra l’altro, trovate alcune indicazioni per scegliere un buon gelato.
*Notizia dell’ultima ora: ho scoperto un altro buon latte fresco intero bio. È targato “alta qualità”, è italiano e si chiama latte Cansiglio; proviene dall’altopiano omonimo delle Prealpi carniche. Quanto prima andrò da quelle parti per vedere come sono tenute le mucche. Vi farò sapere.