Fino adesso avevo rimandato il momento di interessarmi al formaggio, sia perché ci capivo poco, sia perché non avevo trovato una persona veramente affidabile, che conoscesse approfonditamente questo affascinante argomento, e che condividesse anche pienamente l’esigenza di consapevolezza, il rispetto per gli animali e tutto il resto che già sapete.

Inoltre avevo anche un’altra remora, che riguarda la bioterapia nutrizionale, che come sapete tengo sempre molto presente quando cucino, e di cui vi parlerò più sotto.

A snebbiare questa situazione, lo scorso giugno un certo Stefano Mariotti mi scrive una mail per comunicarmi che insieme ad altre quattro blogger (Agostina di Pane, burro e marmellata, Elisa di Kitty’s Kitchen, Laura di La Signora Laura, e Sarah di Fragola e limone), sta preparando una rubrica sul suo sito, Qualeformaggio, sul quale stranamente non ero mai approdata fino a quel momento (grave mancanza — è un must per gli aspiranti consapevoli).

Nel suo piano ognuna delle blogger creerà una ricetta ad hoc a settimana utilizzando ogni volta un formaggio che lui provvederà a inviargli; nella mail mi chiede anche se per caso mi piacerebbe far parte della squadra. La mia prima risposta è stata… una serie lunghissima di domande su quale sarebbe il tipo di formaggi che dovremmo “trasformare”, su come vengono allevati gli animali dai quali provengono, e così via.

Stefano, lungi dal farsi scoraggiare, prende anzi la palla al balzo per spiegarmi tutta una serie di cose che piano piano spero di riuscire a trasmettervi con questa rubrica; cosa che non sarebbe neanche servita, perché intanto avevo fatto un giro sul suo sito e avevo letto questa pagina (che già sarebbe bastata da sola), questa e questa, e avevo appena cambiato idea circa il mio proposito originario “non scriverai su altri siti all’infuori del tuo”.

L’unico problema che restava, e che vi accennavo qualche riga più sopra, è che la bioterapia nutrizionale i formaggi li usa con le pinze. Li ritiene preziosi, ma anche potenzialmente pericolosi, e in ogni caso da usare con molta prudenza (ovviamente parliamo dell’utilizzo con persone che soffrono di qualche patologia; chi ha un fegato sano e un metabolismo regolare può mangiarli più facilmente, ma sempre senza esagerare).

I formaggi sono alimenti completi, molto ricchi di nutrienti; infatti (cito il librone) “nella cultura contadina di un tempo venivano consumati durante i periodi di intenso lavoro fisico (che spesso coincidevano con la stagione estiva), durante i quali la sudorazione era profusa. Il contadino, mangiando spesso solo pane e formaggio, era in grado di lavorare intensamente fino a sera”. Inoltre durante l’inverno le case non erano ben riscaldate, e il potere energetico dei formaggi veniva sfruttato anche per fronteggiare il freddo.

Contengono tiramina, parente dell’adrenalina, della noradrenalina e di altri neurotrasmettitori, che fa innalzare lo stato di veglia e di attenzione; calcitonina, che aumenta l’eccitabilità del sistema nervoso centrale; e la serotonina, che è nel latte e teoricamente dovrebbe avere un effetto rilassante, nei formaggi viene inibita per azione del caglio.

Insomma, sono alimenti adatti a organismi in crescita (preferibilmente non di sera, perché possono disturbare il sonno; vanno bene anche ad esempio per i lavoratori notturni che devono sostenere la vigilanza), o nel periodo della dentizione, perché velocizzano e migliorano la formazione dei denti.

Sono utili durante la gravidanza e l’allattamento, e di aiuto per gli studenti grazie al notevole apporto di fosforo e per lo stimolo surrenalico. Inoltre, preparati in un certo modo, sono in grado di attivare i processi gastrici grazie al caglio naturale residuale che contengono; prova ne è che la tradizione popolare concludeva il pasto con un assaggio di formaggio (soppiantato poi dal caffè).

Il lato complicato da gestire è il loro contenuto di grassi, e la grande percentuale di sali minerali, utile in alcune situazioni (diarrea, forte debolezza, pressione bassa, disidratazione) ma molto pericolosa in chi è iperteso o ha problemi cardiaci, negli epilettici e anche in chi ha semplicemente distonie neurovegetative. In alcune persone possono provocare mal di testa e stitichezza, androgenizzazione (nelle donne), e predisporre alla calcolosi renale e alla depressione nervosa.

Per questo motivo le ricette che presenterò sul sito di Stefano saranno molto semplici, e utilizzerò i formaggi in piccole quantità. E vi raccomando di non consumarli spesso, ricordate sempre di usarli solo se appartenete a una delle categorie di cui sopra, o se siete in perfetta salute e avete bisogno di una vera e propria bomba energetica.

Ecco fatto. Oggi Stefano ha decretato la fine del silenzio-blogger, che era stato instaurato per non rovinare la sorpresa; finalmente posso presentarvi la rubrica che terrò qui sul pasto nudo in parallelo, nella quale tra pochissimo vi mostrerò i formaggi uno per uno, man mano che li utilizzerò nelle ricette che pubblicherò su Quale formaggio: la prima ricetta è un bellissimo carpaccio di zucchine di Elisa, con una ricotta molto speciale, di cui presto vi parlerò anch’io).

La caratteristica dei formaggi che utilizzeremo è che provengono tutti da animali allevati al pascolo (nella stagione calda), possibilmente in alta montagna e sulle vie della pastorizia, alimentati senza mangimi, preparati con il latte di un solo produttore, e trasformati appena munti. Il latte usato è quasi sempre crudo, vale a dire non pastorizzato: il latte appena munto ha una temperatura di 37-38°C, in qualche minuto arriva a 30-32°C, e per fare il formaggio viene portato a temperature di poco superiori (raramente più di 42-44°C), con uno “stress” minimo rispetto alle lavorazioni industriali, in cui la materia prima viene refrigerata in una fase intermedia (4°C) prima della caseificazione. Tutto qui, e non mi pare poco.

Ad ogni modo anche quando il latte viene pastorizzato viene portato al massimo a 74°C per pochi secondi, quindi conserva quasi tutte le sue proprietà nutritive (per la precisione esiste una pastorizzazione “alta” a 75-85°C per 2 o 3 minuti, e una “bassa”, poco praticata, a 60-65°C per 30 minuti).

Gli animali che si alimentano di foraggi (pascolo polifita, fiori e foglie) producono un latte profumato e benefico, perché le piante di cui si nutrono sono piene di terpeni (composti volatili molto odorosi che servono alle piante a difendersi dai parassiti o ad attivare gli insetti impollinatori – in parole povere, profumi :-)); ogni erba trasferisce al latte un contenuto nutrizionale diverso, e più varietà gli animali riescono a trovare, più il loro latte (e quindi i formaggi e la carne) è ricco di aromi e nutriente.

Chi di voi avesse voglia di approfondire l’argomento può dare uno sguardo a questo interessantissimo articolo apparso su Porthos, che mette a confronto le drammatiche differenze tra la buona zootecnia estensiva e la zootecnia intensiva o industriale, scritto a quattro mani da Stefano e da Michele Corti, docente di sistemi zootecnici e pastorali presso l’Università degli Studi di Milano.

Nell’allevamento intensivo gli animali – quando va bene – mangiano prevalentemente graminacee, che sono prive di terpeni. Quando va maluccio invece ricevono soprattutto mangimi, una miscela di prodotti la cui base è la granella di mais o di soia (e una percentuale di queste può essere ogm); ma c’è anche di peggio, e cioè l’unifeed (dall’inglese “unique feed, cioè alimento unico), vale a dire un piatto unico, che è un mix di 5 ingredienti (cereali, proteine vegetali e insilati) frullati insieme e somministrati una volta al giorno, ogni singolo giorno, per tutta la vita dell’animale, senza alcuna possibilità per lui di selezionare ciò che preferirebbe mangiare. L’unifeed viene utilizzato esclusivamente all’interno degli allevamenti intensivi ad alta produzione.

Insomma, la filosofia di base è quella che conoscete, e che va ben oltre le certificazioni biologiche: se vogliamo alimentarci in modo veramente sano, se vogliamo che il cibo ci trasmetta energia vitale (e materiale) dobbiamo necessariamente nutrirci di prodotti che provengono da animali che hanno vissuto una vita felice e più vicina possibile a quella naturale. Come si può pensare di star bene mangiando carne, uova e latte (e gustosi derivati) provenienti da animali depressi, impauriti, imprigionati?

È assolutamente necessario aumentare il nostro livello di consapevolezza, e cominciare a conoscere approfonditamente ciò che mangiamo. Basta con gli occhi bendati, basta con le distrazioni bambinesche (non perdere tempo con quelle informazioni noiose, smettila di leggere, guarda questa fiction nella quale tutti i protagonisti sono ricchi e tu puoi vivere virtualmente la loro vita, così ti sembrerà inutile migliorare la tua!). Perseguire la verità è più complicato, ma anche molto più interessante. E più sano, in ogni accezione della parola.