Di Loreto Pacitti e dei suoi meravigliosi formaggi ovicaprini, e delle coincidenze assurde che il pasto nudo attira vi avevo già parlato qui a metà gennaio. Chiedendo lumi su questo particolare tipo di formaggio direttamente al suo papà ho però imparato qualcosa di completamente nuovo.

caso peruto pacitti

Da perfetta figlia del mio tempo non avevo mai preso in considerazione il fatto che la differenza tra un formaggio industriale e uno artigianale è nel fatto che quelli che siamo abituati a comprare al supermercato sono praticamente dei cloni di se stessi: il sapore è livellato e appiattito per incontrare i gusti del maggior numero di persone possibili.

Parlando quindi di personalità questo è uno di quei formaggi che ne possiede una decisamente volitiva, ed è bellissimo avere la possibilità di conoscerla e apprezzarla. Grazie a Stefano per fortuna mi capita sempre più spesso di avvicinarmi a queste realtà, e devo dire che ogni volta apprendo qualcosa in più.

Ho capito che quando si parla di formaggi artigianali a latte crudo, anche se il formaggio in questione è dello stesso tipo, o addirittura dello stesso produttore, ogni singola forma è un pezzo unico, con un sapore e una consistenza particolare e sua, come un’opera d’arte collettiva casaro/natura/tempo. Queste produzioni artigianali hanno molto in comune con l’arte, come la componente casuale, che quando manca dà luogo a opere sterili, fini a se stesse.

Per essere più comprensibile, vi annoto prima il procedimento generale per preparare questo formaggio e poi le variabili che lo rendono unico. Il caso peruto (letteralmente significa “formaggio perduto“, cioè andato a male) si può preparare con latte misto di pecora e capra (deve però prevalere quello di capra) o con solo latte di capra (come in questo caso); appartiene al gruppo dei formaggi “conciati”, vale a dire lavati, “conditi” con erbe aromatiche e spezie (che possono variare dal timo alla pimpinella alla santoreggia o al peperoncino), e poi lasciati maturare in orci di vetro o di coccio.

Il caso peruto viene poi cagliato con caglio vegetale, salato, diviso in piccole forme di 100 o 200 grammi, sistemato in fascelle di plastica o di vimini, lasciato stagionare tre o quattro mesi (a seconda anche della stagione, in inverno c’è bisogno di più tempo), lavato e unto con olio e aceto ed eventualmente strofinato con le erbe e le spezie.

Viene poi chiuso in una piccola damigiana, che può essere di coccio o di vetro, nella quale si crea un ambiente che piano piano diventa anaerobico (essendo chiusa ermeticamente i batteri aerobici presenti consumano l’ossigeno che c’è all’interno) e lasciato di nuovo maturare, per un periodo che può variare da un mese a un anno e oltre.

pacitti caso peruto

Ogni volta che in questo procedimento il casaro varia un “oppure”, ottiene un formaggio sensibilmente diverso. Per fare un esempio, se la prima stagionatura dura tre mesi invece di quattro il formaggio ha consistenza e persistenza diverse; il gusto diventa più intenso man mano che matura, con una nota piccante dovuta al latte di capra.

A seconda poi di come viene lavato, la maturazione cambia completamente: ad esempio si può usare l’acqua di bollitura della pasta fatta in casa, che lascia sul formaggio un sottilissimo strato di amido che crea uno spessore tra il formaggio e l’aria, che lo protegge dall’ossidazione e ne rallenta l’essicazione. Se inoltre la prima stagionatura avviene in fuscelle di vimini invece che di plastica la crosta assume sfumature molto diverse, perché le prime mantengono “memoria” dei batteri lattici delle lavorazioni precedenti.

Se ben ricordate, su questa stessa rubrica, parlando di un altro produttore, vi avevo raccontato che le fascelle di vimini non si possono più utilizzare per legge, distruggendo molte antiche tradizioni e promuovendo l’utilizzo della plastica che per me è inconcepibile (essendoci un’alternativa assolutamente valida e anzi migliore). Per fortuna i produttori di questa zona sono riusciti ad avere delle deroghe in proposito, e auspico con tutto il cuore che le deroghe diventino infinite (dove devo firmare?).

Inutile dirvi quanta differenza di sapore ci sia dopo le varie conciature (senza contare che le erbe hanno già di per sé aromi molto differenti anche solamente se vengono raccolte a poche centinaia di metri di distanza o su terreni di tipo diverso); inoltre, come potete immaginare, la seconda maturazione regala al formaggio la personalità più visibile ed evidente: basta dire che nei primi mesi il caso peruto è duro e grattugiabile (come quello che vedete nella foto in alto, che ha un paio di mesi), e man mano che si va avanti nel tempo diventa sempre più morbido e cremoso (e mooolto più “potente”, cioè assume un sapore molto forte) perché avviene una proteolisi, cioè le proteine si sciolgono.

pasta all'olio per la pizza

Capite bene che a seconda del clima, dei contenitori, del caso, del tempo impiegato e delle erbe utilizzate per la conciatura (e non abbiamo parlato delle capre, di che tipo di erbe hanno mangiato in quantità in quel dato giorno etc) vi trovate davanti un formaggio che è un vero e proprio individuo. Adesso capisco quando si dice questo formaggio “ha una personalità”. Io lo avevo sempre inteso come “questo tipo di formaggio” invece si parla proprio del singolo pezzo.

Beh io la trovo una cosa meravigliosa, e capisco finalmente anche perché spesso si accostano i grandi formaggi ai grandi vini; immagino che anche dietro questi ultimi ci siano storie molto simili.

Le capre di Loreto Pacitti pascolano in quel di Picinisco, in una zona che una volta era una vera e propria regione (sia in senso storico che geografico) dell’Italia meridionale, la “Terra di lavoro”, un territorio a servizio del Regno di Napoli (e non solo), e che dal 1940 è stata suddiviso tra il Lazio, il Molise e l’Abruzzo. Il suo caso peruto viene lavato con siero tiepido, unto con olio e aceto e stagionato in damigiane di vetro. Adesso però passo alla ricetta che ho preparato, prima che qualcuno mi imbavagli.

pizza di cipolle

Vista la forte personalità di questo formaggio, le opzioni erano mangiarlo a fette sottiliiiiiiiissime (ma pareva brutto presentare a Stefano una ricetta dal titolo “fettine sottilissime di caso peruto con nient’altro”) oppure grattugiarlo su qualcosa di… uhm. Perché non una meravigliosa torta salata di cipolle? Magari molto speziata e quasi orientale, anzi addirittura agrodolce?

Non ho dovuto fare altro che sfogliare un certo libro che ho qui da secoli e al quale ogni tanto attingo a piene mani e operare un po’ di modifiche (a cominciare dalla pasta, che ho mutuato da questa pizza che vi ho mostrato un secolo fa) e partire.

pizza ripiena di cipolle

Il risultato lo vedete qui sopra, il sapore è veramente indescrivibile. Posso solo dirvi che è proprio il caso peruto che regala la sua personalità alla pizza, e che personalità. Indimenticabile. Nella versione che vedete questa torta salata è adatta a chi ama i sapori speziati, un po’ orientali. Se preferite un sapore più tradizionale non dovrete fare altro che omettere l’uvetta e il miele, e sostituire le spezie con un po’ di timo fresco.

Ingredienti:
per la pasta all’olio:
350 grammi di farina 1
70 grammi di olio extra vergine d’oliva
150 ml di acqua fredda
sale marino integrale

per il ripieno:
1 chilo di cipolle
50 grammi di Caso peruto
tre o quattro foglie di alloro
tre o quattro chiodi di garofano
mezzo cucchiaino di semi di cumino
una punta di cannella
1 cucchiaio di miele
sale marino integrale
un pugno di uva passa
olio extravergine d’oliva
pepe bianco

Sbucciate le cipolle (preferibilmente di Tropea, ma vanno bene tutte), tagliatele in due metà e poi a mezzelune molto sottili (max un paio di millimetri!) con un coltello ben affilato.

Mettetele in una grande padella insieme alle foglie di alloro, un quantitativo d’olio sufficiente – a seconda anche delle vostre preferenze: ricordate però di non lesinare troppo perché è l’olio a veicolare i sapori – e l’uvetta. Coprite con un coperchio e posizionate la padella su una fiamma molto bassa, e dimenticatevela almeno per una mezz’oretta.

Le cipolle piano piano rilasceranno la loro acqua e ci si cuoceranno dentro, ammorbidendosi. Passato questo tempo aggiungete il miele, i chiodi di garofano macinati sul momento, la cannella e il cumino.

Mescolate bene, coprite nuovamente e lasciate cuocere il tutto fino a quando i liquidi saranno completamente evaporati e le cipolle saranno caramellate e tenderanno ad attaccarsi leggermente al fondo della padella. Ci vorranno alcune ore, prendetela con calma :-)

Intanto preparate la pasta all’olio. Mescolate tutti gli ingredienti, impastate per qualche minuto (dà molta soddisfazione!) e lasciatela riposare un paio d’ore. Trascorso questo tempo, dividetela in due pezzi, uno dei due un po’ più grande dell’altro.

Prendete quest’ultimo e stendetelo sulla spianatoia con il matterello, a due o tre millimetri di spessore. Oliate per bene una teglia piatta e ritagliate un disco di pasta che sbordi di qualche centimetro rispetto al diametro della teglia (la pasta andrà ripiegata sopra).

Preriscaldate il forno in modalità statica a 170°C, grattugiate il caso peruto e aggiungetelo alle cipolle che intanto avrete fatto raffreddare, mescolando bene in modo da far amalgamare i sapori. Se volete potete usare anche più di 50 grammi di formaggio, ma vi assicuro che già così il sapore della vostra torta sarà *molto* deciso :-9

Riempite il guscio di pasta con il ripieno, ritagliate un secondo disco dal pezzo di pasta rimanente e adagiatelo sopra le cipolle. Ripiegate i bordi del disco inferiore per chiudere la pizza, e utilizzate i ritagli per decorare a vostro piacere la chiusura, in modo da nasconderla, spennellando il lato inferiore con un po’ d’acqua per farli aderire bene al guscio di pasta.

Spennellate tutto con olio di oliva, bucherellate un pochino con una forchetta e infornate per una mezz’oretta, o fino a quando la pasta non sarà leggermente dorata (se vedete che rimane troppo chiara regolate il forno in modalità ventilata durante gli ultimi minuti di cottura).

Servite la pizza calda di forno o anche fredda il giorno dopo.