Nuovo produttore molto interessante. L’azienda agricola è questa qui; come vedete si trova in un posticino mica male, immerso tra gli Appennini Abruzzesi, nel parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, e a due passi dal Parco Sirente Velino, dal Parco Gran Sasso Monti della Laga e dal Parco della Maiella.

I proprietari amano definirsi “l’ultima generazione all’insegna della genuinità”, e visto che si trovavano hanno pensato bene di creare anche un agriturismo neanche tanto piccolo (tipo sedici camere se non sbaglio).

Hanno un ristorante molto carino con tanto di forno a legna nel quale cuociono il loro pane, la loro carne (pecora, mucca e maiale), i loro formaggi (tutta roba che si può anche degustare e acquistare anche se si è solo di passaggio), e nel quale per il resto si serve cucina biologica. Hanno anche coperte, calzini, cappelli, sciarpe e un sacco di altre cosette di lana felice.

Ma parliamo di questa ricottina. Pochissimo salata, non troppo morbida e non troppo dura, di quelle che fanno le briciole, ma morbide, per capirci. E la muffa scura che la ricopre le conferisce un sapore eccezionale, senza però essere esageratamente presente. Preferisco di gran lunga questo tipo di formaggi a quelli molto stagionati, un po’ piccanti e dal sapore intenso. Non che questi ultimi non mi piacciano, per carità, ma riesco a mangiarne in piccole quantità, mi stufano subito.

Sento già il coro di uomini pastonudisti che mi fanno un urlo in testa, uffa, lo so, lo so, a voi piacciono moltissimo i formaggi stagionati, ma non vi preoccupate perché ci sono anche quelli, ché purtroppo noi povere prescelte da Stefano li dobbiamo assaggiare tutti, un impegno veramente ingestibile, ehehe. Non so perchè ma mi viene in mente un fumetto di Paperino che leggevo e rileggevo da piccola, nel quale lui faceva di lavoro l’assaggiatore di dolci, e io ogni volta pensavo, ecco, ho trovato la mia vocazione!!

Questa ricotta in particolare è strepitosa. Ho parlato al telefono con il signor Gregorio (il proprietario dell’azienda agricola), e mi sono fatta raccontare per filo e per segno come nasce.

Una volta munto il latte, e fatto il formaggio, dalla seconda cottura viene fuori la ricotta; viene poi asciugata tre o quattro giorni dentro le fascelle in modo che tiri fuori tutto il siero, poi viene tirata fuori dal cestino, salata, e messa a stagionare in cantina 60-70 giorni, dove forma una bellissima (e commestibilissima) muffa azzurra. Trascorso questo tempo viene massaggiata con olio d’oliva, operazione che fa scurire la muffa fino a farla diventare quasi nera (avete visto che bellissimo contrasto che fa il bianco della ricotta vera e propria con il nero dell’esterno?).

A proposito di fascelle, vi devo assolutamente riportare una cosa che il Signor Gregorio mi ha raccontato. Adesso (sigh) le fascelle sono di plastica, per questioni igienico-sanitarie, ma una volta erano di vimini. La notte del 16 gennaio di ogni anno, vigilia di Sant’Antonio, per tradizione si bruciavano tutte le fascelle dell’anno passato. Adesso purtroppo si brucia solo legna, ma non trovate che fosse una tradizione bellissima? E avete notato che molte usanze stupende hanno a che fare con il fuoco?

Il giorno di Sant’Antonio poi si usa distribuire a tutto il popolo una minestra fatta con le sagne (di acqua e farina) condita con lardo di maiale sciolto sul fuoco, nel quale si aggiunge la ricotta, che rimane a pezzetti. Il signor Gregorio mi ha assicurato che è un piatto pazzescamente buono, e dal tono che aveva non ne ho dubitato neanche un secondo. Io se fossi in voi ci farei un pensierino, per il prossimo Sant’Antonio. Lo so, ci vuole tempo, ma meglio programmare, per questi eventi fondamentali!

Questa ricotta ha anche la particolarità di conservarsi benissimo anche uno o due anni (!) in cantina o in frigo. A differenza degli altri formaggi, che il signor Gregorio dice che “hanno più paura del freddo che del caldo”, lei si mantiene benissimo. Quindi nel caso assurdo cadano ad esempio trenta centimetri di neve e rimaniate bloccati in casa senza la spesa perché il vostro sindaco è basìto dall’evento e non ha sgombrato le strade potete sempre ricorrere alla vostra scorta di 80 ricotte a scorza nera.

Sul sito c’è scritto di gustarla da sola o con verdure fresche, eh, sì, va benissimo, ma insomma io ci devo fare una ricettaaa!! E che ricetta è “ricotta senza niente con una carota poggiata vicino”? E così, gironzolando qua e là sull’amata rete ho trovato una ricettuzza friulana sul Corriere della sera che mi è sembrata proprio perfetta; ho dovuto modificare un paio di cose, perché fatta proprio com’era descritta non funzionava bene (almeno per me).

La mela grattugiata si sentiva troppo poco, e anzi si sentiva quasi solo la ruvidezza della buccia, che strideva con la granulosità della polenta di grano saraceno, così ho optato per dei deliziosi dadini; inoltre ho omesso la farina di mais e ho usato il burro, appena sciolto, in purezza. Comunque se volete provarla com’era, vedete poco più sopra la foto del primo tentativo, forse un pochino più coreografico.

Per la polenta ho usato un metodo che avevo visto l’altro giorno in una trasmissione della stramitica Laura Ravaioli. Fino ad ora la polenta l’ho preparata molto raramente, perché una cosa che proprio non mi riesce è stare lì a girare per quasi un’ora senza fare nient’altro.

Mettetemi a tagliare in cinquanta fettine perfettamente uguali un capello in senso verticale, ma non fatemi fare una cosa come questa, potrei dissolvermi sul posto. Vi dico soltanto che la polenta si cuoce praticamente da sola (Laura Ravaioli ti amo), ed eccovi il link (per chi ha l’account facebook) dove spiega lei stessa tutto per filo e per segno. Se non avete l’account non vi preoccupate, vi riporto tutto nella spiegazione ovviamente!!! Avevate dubbi?!

La ricetta è da seguire alla lettera (questo è quel tipo di piatto che se sbagli un passaggio — tipo fai raffreddare la polenta — diventa immangiabile!).

Ingredienti:
100 grammi (circa) di farina di grano saraceno
400 grammi d’acqua pura
sale marino integrale quanto basta
200 grammi di ricotta a scorza nera
1 mela rossa croccante
100 grammi di radice di rafano
100 grammi di burro felice

Per prima cosa mettete a bollire l’acqua; sceglietene un pentolino che possa poi incastrarsi, senza toccare il fondo, in una pentola più grande, perché dovrete cuocere la polenta a bagnomaria. Laura Ravaioli dice che si può anche mettere un panno sul fondo della pentola grande (invece di incastrarle una nell’altra come ho fatto io): basta che il fondo della pentola piccola non tocchi il fondo di quella grande.

Tagliate a cubetti la ricotta a scorza nera e mettetela da parte, togliete il torsolo alla mela e tagliate anch’essa a cubetti, spruzzandola con un po’ di limone (non si sentirà) per non farla annerire e mettete il burro in un pentolino, in modo che dopo ci vorranno giusto un paio di minuti per farlo sciogliere al volo.

Quando l’acqua bollirà aggiungete il sale, abbassate un po’ la fiamma e versate a pioggia la farina, mescolando continuamente con una frusta a filo grosso o con un cucchiaio di legno in modo da non far creare grumi. Non versate tutta la farina in una volta: dovete fare attenzione che la polenta non diventi troppo densa. Non posso darvi una quantità di farina precisa perché dipende da quanta acqua assorbe la vostra; tenete conto però che la polenta deve rimanere morbida, mescolabile, non deve diventare simile a un impasto.

Appena la polenta sarà diventata liscia spostate il pentolino nella seconda pentola, un po’ più grande, nella quale avrete messo altra acqua a bollire. Incastratelo in modo che non tocchi il fondo, copritelo con uno strofinaccio umido e coprite ulteriormente con un coperchio.

Lasciate cuocere così a fiamma bassa per una quarantina di minuti, dopo di che mettetela sul fuoco diretto e mescolate ancora un paio di minuti. Se non volete servire la polenta immediatamente rimettetela nel bagnomaria ben coperta, ma sappiate che non sarà esattamente la stessa cosa, perché potrebbe asciugarsi un po’ troppo.

Al momento di servire a tavola adagiate – velocemente, la polenta non deve raffreddarsi – in un piatto caldo due o tre belle cucchiaiate di polenta, aggiungete i cubetti di ricotta e di mela, versate un po’ di burro fuso, grattugiate abbondantemente il rafano sul tutto e finite con una spolverata di pepe appena macinato.