Mangiare la carne è un’usanza che nel tempo deve essere degenerata molto, principalmente per quello che riguarda il tipo di animale che si decide di mangiare. Immagino che una volta gli animali grossi come le mucche fossero molto difficili da raggiungere, e se magari qualcuno ce li aveva a disposizione li utilizzava per il latte (e quindi panna, burro, formaggio etc).

granelli alla cacciatora

Sacrificarli era molto costoso, e poi tutta la carne che ne derivava avrebbe avuto bisogno poi di essere consumata in tempi brevi o divisa con altre persone, visto che le prime ghiacciaie domestiche se non sbaglio apparvero solo nell’800.

Quindi probabilmente venivano mangiati soprattutto animali più piccoli, come polli e altri animali da cortile, conigli, pecore, maiali e uccelli; animali alla portata della nostra dimensione. Mi facevo questa domanda anche perché la pulcina ha più difficoltà a gestire la carne, il latte e i formaggi di mucca che quelli derivanti dagli altri animali.

Ci siamo ripromessi, quelle poche volte che mangiamo la carne, di cercare di scegliere più spesso possibile animali piccoli; oltretutto anche l’impatto ambientale di una mucca, sopra tutto allevata intensivamente, è cento volte superiore a quello di un coniglio o di un pollo o via dicendo.

Come sapete, di solito quando mangiamo carne di manzo cerchiamo di andare sul quinto quarto. E qui arriviamo al piatto che vi volevo far vedere oggi. Non so quanti di voi avranno il coraggio di mangiare *questa* parte specifica del vitellone; fatto sta che per quanto mi riguarda la curiosità vince su tutto, e così quando ho chiesto a Roberto Liberati di mandarmi un po’ di quinto quarto (biodinamico!!!) e mi sono ritrovata un pacchetto con su scritto “granelli” sono stati la prima cosa che ho deciso di cucinare. Ero troppo troppo curiosa :-)

Su cosa sono i granelli non volendo scadere nel volgare vi dico che si tratta di qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno ogni giorno, e che purtroppo in giro si vede molto raramente. Eppure in rete se ne trovano vari esempi, come ad esempio qui, qui, e qui!

E un aneddoto: quando ero piccolina la mia mamma mi raccontava spesso che una volta mio padre l’aveva portata in un ristorante molto rinomato di Napoli, e le aveva fatto assaggiare questo particolare quinto quarto, dicendole però solo in un secondo momento di cosa si trattasse. Credo che dopo averlo saputo abbia desiderato di ucciderlo con le sue mani. Ah, come mi manca il mio papà.

A noi sono piaciuti moltissimo. Ma in fatto di cibo siamo veramente poco schizzinosi (soprattutto lo zac! Io ogni tanto qualche défaillance ce l’ho, quello mangia pure le pietre); se voi non ce la potete fare, prendete pure questo post come una specie di informazione freak da tenere da parte per i giorni strani :-)

Ingredienti:
1/2 chilo di granelli di vitellone
olio extravergine d’oliva
un paio di foglie di alloro
qualche spicchio d’aglio
un rametto di rosmarino
mezzo bicchiere di vino bianco

Preparazione semplicissima da manuale: fate scaldare sul fuoco a fiamma bassa l’olio con dentro l’aglio schiacciato e le erbe aromatiche; quando l’aglio sarà dorato aggiungete i granelli a fette (Roberto me li aveva già preparati, se non sbaglio si lavano bene, si spellano e si tagliano a fette di un centimetro e mezzo circa di spessore) e alzate la fiamma (non troppo).

Quando la carne si sarà asciugata e i granelli cominceranno a rosolarsi sfumate con il vino bianco, aspettate che evapori e servite molto caldi, guarnendo con un rametto di rosmarino e accompagnando con una fetta di pane e una verdura cruda come un’insalata.