Dal momento che in questa ricetta ho già utilizzato una tavoletta non recensita, eccomi a fare ammenda e rimettere le cose a posto… per prima cosa quindi, come il protocollo di questa rubrica prevederebbe (se non fosse che da brava gemellina mi piace andar senza regole) vi parlerò dell’azienda che lo produce.
Alce Nero azienda
Questa volta si tratta di un nome molto conosciuto nel mondo del biologico, una ditta che non produce solo cioccolato, ma una gamma molto vasta di alimenti i quali godono del privilegio concesso a pochi di essere venduti anche in negozi che non sono dedicati al bio.

Sto parlando infatti, di Alce Nero, che – insieme al marchio Mielizia ed in collaborazione con Libera Terra – rappresenta una rete di agricoltori biologici, apicoltori e produttori Fair Trade, che fa del motto “buono, pulito e giusto” il proprio progetto produttivo. L’impresa garantisce che le materie prime utilizzate nella produzione sono ottenute con criteri biologici, sostenibili e solidali e trasformate tramite processi che pongono in primo piano la loro integrità organolettica e nutrizionale.

Con il criterio della rete di produttori, Alce Nero riesce a coprire un mercato davvero ampio, sia in termini di assortimento (producono dalla farina al cioccolato, passando per miele, confetture, olio e chi più ne ha più ne metta), sia in termini territoriali (sono presenti in 14 paesi). Ci sarebbe quindi da perdersi a parlare dei loro prodotti; per fortuna io curo solo una rubrica sul cioccolato e dunque la faccenda si fa molto più semplice :-)

Per il cacao, come per gli altri ingredienti non coltivabili in Italia, Alce Nero usufruisce delle materie prime prodotte dal suo socio Cooperar Sin Fronteras Internacional, un’organizzazione privata senza scopo di lucro che riunisce sotto di sé ben 5000 famiglie di produttori che coltivano principalmente zucchero di canna, cacao, caffè, frutta, sotto il marchio del Biologico e del Fair Trade.
In particolare, il cacao utilizzato da Alce Nero per la propria produzione è coltivato in Costa Rica nella regione di Talamanca. Ad occuparsi di questo compito affascinante (vi avevo già parlato, mi pare, del mio desiderio di visitare una piantagione di cacao, vero?) è un gruppo di soci coltivatori di origine Bri Bri e Cabécares (due popolazioni indigene caostaricensi), riuniti in un’associazione, la APPTA.
Fondata nel 1987 quest’associazione consta oggi di ben 1067 produttori di cui l’80% sono indigeni ed il 38% sono donne. La loro produzione comprende cacao, banane e altri frutti. Il metodo di coltivazione utilizzato da questi agricoltori è quello tradizionale, praticato nei secoli nella zona di Talamanca nel rispetto delle caratteristiche specifiche del territorio e della cultura del luogo. Le piante di cacao crescono spontaneamente tra quelle di banano e di altri frutti; in questo modo si ottiene un duplice risultato: creare un ecosistema stabile che garantisca biodiversità e autosufficienza senza bisogno di ricorrere a prodotti chimici né per la concimazione né per la lotta ai parassiti e aumentare la produttività dell’azienda che può contare sulla vendita non solo del cacao, ma anche delle banane e degli altri frutti della foresta.
Cito dalla sezione “Vision” del loro sito un motto che mi è sembrato particolarmente evocativo in questi tempi di cinismo e opportunismo senza limiti: “Rispetto per la terra e la sua esistenza. Perché ci nutre. Noi siamo fatti di terra e le dobbiamo rispetto. Rispetto per l’ancestrale sistema indoamericano di produzione agro-ecologica, per la foresta e per la sua biodiversità, per gli animali, i fiumi e per l’acqua come fonte di vita, per gli alberi e per il cacao come pianta sacra. Dove ci sono alberi c’è acqua, dove c’è acqua… ci sarà la vita.”. Quasi quasi vado a vivere a Talamanca in mezzo ai Bribri (che pure il nome mi piace parecchio!).
E dunque dicevo, il cacao arriva dal Costa Rica, mentre lo zucchero di canna dal Perù, sempre attraverso i soci di Cooperar Sin Fronteras Internacional. La trasformazione invece avviene in Europa e precisamente in Svizzera, a Lugano dall’azienda Chocolat Stella, che lavora cioccolato biologico anche per la propria produzione (tra l’altro dovrò vedere di procurarmela ed assaggiarla questa marca perché mi sono troppo incuriosita: tra le loro tavolette ce n’è una ai frutti di baobab! Come posso non cercarla e parlarvene?!?).
La produzione di cioccolato Alce Nero si limita a cinque tipi di tavolette: extra fondente 71% (questo 71 ricorre… ma fosse un numero magico e non lo so?), extra fondente 80% con fave di cacao (quello usato nel pangiallo castadivino), latte, latte con nocciole intere e bianco con fave di cacao. Inoltre l’azienda produce cacao in polvere.
Riguardo alle tavolette ne ho assaggiate solo due e posso dirvi che una l’ho trovata notevole e l’altra mi è piaciuta meno, ma non vi anticipo altro perché seguiranno dei post appositi con le recensioni relative. Invece voglio spendere qualche riga per parlarvi della loro polvere di cacao, perché a differenza del cioccolato questa non potrà godere di un’apposita recensione tutta per lei :-)
Vi ho già anticipato nel post della Torta negra che si tratta di un buon prodotto. Se raffrontato con alcune polveri di cacao non bio di case eccezionali, ci va certamente a perdere, ma non ha nulla da invidiare (anzi!) alle maggiori polveri di cacao non biologiche commerciali e non ha paragoni con quelle biologiche che si possono trovare normalmente in circolazione. A differenza di queste ultime, infatti, che risultano troppo scialbe di sapore e scolorite di colore (anche l’occhio vuole la sua parte, non c’è niente da fare!), il cacao Alce Nero ha carattere sufficiente per sostenere le preparazioni che trovano in questo ingrediente un fondamento della ricetta e in più ha un bel color mogano, che soddisfa anche l’estetica quando lo si vuole spolverizzare su qualcosa (ve lo immaginate un bel tartufo spolverizzato di cacao sbiadito?).
Vi lascio con una nota di colore sul nome… Alce Nero o Hehaka Sapa era uno sciamano presso la tribù degli Oglala (da qui il logo dell’indiano a cavallo). Egli affermava con enorme saggezza che non è la vicenda dell’uomo che merita di essere narrata, bensì la “storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi”.
Ecco. Bisognerebbe essere tutti un po’ sciamani :-)