Di Simone Sabaini avete già sentito parlare da izn qui, e certamente molti di voi conosceranno i suoi prodotti dal momento che sono disponibili già da parecchio su Ammuina. Ma dal momento che ho avuto la possibilità di incontrarlo personalmente, non mi sono fatta sfuggire l’occasione di fargli una piccola intervista.
simone sabaini
Mi sono armata di buona volontà e ho buttato giù un po’ di domande da sottoporgli, quelle che secondo me potevano essere utili per fornirvi un quadro ancora più completo di quello che fa e di come lo fa. Ne è uscita una piccola intervista, spero utile e gradevole, nella quale compaiono temi apparentemente lontani tra di loro: a volte squisitamente tecnici, a tratti quasi filosofici. Eccola qui.

Raccontaci com’è nata la tua idea, che cosa l’ha motivata nel tuo profondo e come sei riuscito a realizzarla.

Fin da piccolo ho sempre cercato di togliere sovrastrutture e condizionamenti, di essere, in altre parole, libero. Essere libero nel nostro tempo credo sia possibile solo emancipandosi dai bisogni indotti, da ciò che è richiesto dalla società e dallo status e significa soprattutto riappropriarsi del proprio tempo. A Modica riesco ad essere libero, il cioccolato è una conseguenza e in Sabadì cerco di trasferire tutta la bellezza di cui mi nutro.

Mi sono sempre chiesta come mai ci sono tanti cioccolatieri a Modica dove fa un caldo impietoso. Ma la gente che vive là, lo compra il cioccolato di Modica?

No, nessun modicano compra il cioccolato di Modica (se non per regalarlo), principalmente il mercato è turistico.

Come avviene il processo di trasformazione dalle fave di cacao alle tavolette nel tuo laboratorio?

Noi compriamo le fave direttamente da un produttore in Ecuador che lavora molto bene nella fase di fermentazione. Il mercato del cacao è poco equilibrato, infatti da un lato più del 90% della produzione mondiale è fatta da produttori che hanno meno di 3 ettari; dall’altra ci sono i macinatori, cioè cinque multinazionali che controllano più dell’80% del mercato; dunque non c’è nessun incentivo per il contadino che fa qualità. Normalmente il contadino prende il frutto, lo toglie dalla cabossa, toglie la mucillagine bianca, lo lascia al sole e lì, mentre si essicca, si generano spontaneamente dei processi di fermentazione; poi lo mette nei sacchi e lo da agli intermediari.
La fermentazione, che in quei casi si genera spontaneamente, è un processo fondamentale per la qualità, perché è lì che si formano tutti i precursori del gusto e anche potenzialmente i difetti, di conseguenza deve essere controllato. Per questo io lavoro con produttori che sono organizzati in cooperative e conferiscono i frutti direttamente nella struttura centralizzata dove vengono sgranati e dove avviene la fermentazione ed essicazione delle fave. Ovviamente un processo di questo tipo consente di avere selezioni di cacao Nacional con qualità di fermentazione molto elevate, come quello che prendo io, il Nacional Superior Summer Selected, per il quale è garantito che la stragrande maggioranza delle fave hanno compiuto un processo di fermentazione corretto.

Quindi la sigla ASSS che compare nel tuo sito significa questo?

Sì. “A” sta per Arriba e le tre “S” per Superior Summer Selected: è la migliore selezione del cacao Nacional. La selezione viene fatta in funzione del numero di fave ben fermentate, misurando la qualità della fermentazione. Per me è un aspetto fondamentale in quanto il mio cioccolato non viene concato, di conseguenza preservo in pieno le caratteristiche organolettiche e funzionali della materia prima e non posso intervenire con le alte temperature per correggere eventuali difetti. Spesso le alte temperature vengono utilizzate invece per “risolvere” difetti delle fave derivanti da una cattiva fermentazione.

Sì, in realtà distruggono anche ciò che c’è di buono, *se* qualcosa c’è di buono. Però qui parliamo probabilmente di aziende che hanno una materia prima di scarsa qualità… Cioè diciamo che la maggior parte del cacao che c’è in circolazione è di scarsa qualità di conseguenza fare quello che dici tu non può che aiutare nel senso che uccidi quello che c’è di male e crei una roba un po’ artefatta…

Sì, la qualità della fava è data dalla botanica, in parte, ma la fava più buona del mondo se non è fermentata correttamente non dà buoni risultati. Io acquisto le fave direttamente dai produttori in container; già dall’inizio mi sono dotato di un piccolo container, perché se vuoi rivolgerti direttamente al produttore e sapere da chi compri devi comprare tanto. Se prendi due o tre sacchi di fave dall’intermediario non sai cosa stai acquistando; conosci magari l’origine perché te la può dire, ma non sai come il cacao sia lavorato sul campo. L’intermediario stesso non lo sa, perché quel cacao ha fatto probabilmente già due o tre passaggi e non esiste una certificazione di filiera.
Quando le fave arrivano in Italia, io non faccio direttamente la tostatura e la macinazione. Ho deciso di affidare questo passaggio a un’industria, perché sono convinto al 100% che l’industria possa fare questi processi meglio di qualsiasi artigiano.
Ecco… purtroppo quando si parla di bean to bar, dal mio punto di vista, si fa enfasi giornalistica sugli aspetti meno interessanti: nel percorso della filiera ci si è concentrati su una forma di spettacolarizzazione invece di capire come funziona realmente la qualità del processo dalla fava al cioccolato finito. Perché quando si parla di bean to bar si pensa all’artigiano che si mette a tostare le fave in un tostino da caffè e poi con una macina in pietra va ad ottenere la pasta di cacao, perché è bello, perché fa scena ed è affascinante, non c’è dubbio. Peccato che poi lo stesso artigiano spesso compri 500 kg di fave da un intermediario senza sapere come siano lavorate sul campo, per cui dico… qual è il punto?
Per me il valore del bean to bar è il controllo della materia prima, non è la tostatura o la macinazione. Sono convinto che questi passaggi l’industria possa farli molto meglio dell’artigiano per due motivi sostanziali: primo per omogeneità, perché hanno delle camere di tostatura che costano molto, in cui c’è tanta tecnologia e che di conseguenza fanno un lavoro ottimale; secondo, perché se l’umidità residua post processo non è controllata c’è un grosso rischio sul prodotto stesso, e il mio obiettivo è anche evitare dei rischi sul prodotto.

Infatti so che è molto oneroso per un’azienda acquistare dei macchinari che possano fare bene questo lavoro.

In queste fasi — pulitura, tostatura e macinazione — per avere un prodotto stabile, garantito e omogeneo ci sono delle barriere tecnologiche di ingresso molto grandi perché i macchinari costano molto se si vuole fare bene. Diciamo che bisogna prendere atto che questo è un passaggio che trova la sua massima espressione, sicurezza e qualità in un processo industriale e non in un processo artigianale.
Personalmente mi rivolgo a un’industria che può garantirmi la non contaminazione dal punto di vista della filiera del biologico e che, anche sulle piccole quantità come 12 tonnellate, quello che mi viene restituito sono le *mie fave*. Loro eseguono il processo secondo le specifiche che io gli dò.

E la raffinazione del cacao Modicano e in particolare del tuo, è la stessa che avviene per gli altri cioccolati? Intendo, c’è un grado di raffinazione minore o maggiore in termini di micron?

Minore, molto minore. È raffinato pochissimo.
Dopo la lavorazione presso l’industria a me arriva la massa di cacao, e io la tempero mescolandola agli altri ingredienti. La ricerca che abbiamo fatto è stata piuttosto lunga, perché io faccio circa 30 tipi di cioccolato e ogni cioccolato ha una temperatura, precisa al decimo, alla quale deve essere temperato.
Questo consente di evitare l’affioramento del burro di cacao (che personalmente ritengo essere un difetto del cioccolato di Modica e non una sua caratteristica) senza snaturare la lavorazione a freddo tipica modicana.

Questa è una domanda che mi incuriosisce molto. Mi risulta che ogni tipo di cacao, a parità di percentuale, ha le sue curve di temperaggio. Dato che tu utilizzi un solo cacao di origine, questo fatto che a seconda della ricetta cambi la tempera è una cosa curiosa.

Stiamo parlando di due cose diverse: un conto è prendere un cioccolato di copertura al 60% o al 70% e seguire le indicazioni di temperaggio riportate sulla confezione. Qui invece parliamo di un cioccolato fatto partendo dalla massa, lavorato a freddo, con lo zucchero non solubilizzato, senza lecitina, senza burro aggiunto, non raffinato… è completamente diverso.

Cioè parliamo di un 100%, questo mi stai dicendo?

No. Partiamo da un 100%, da una massa di cacao, dove aggiungiamo gli ingredienti e la percentuale la facciamo noi, per cui in funzione della percentuale, dei tipi di zucchero che usi e degli altri ingredienti che usi, cambia la temperatura di temperaggio. Entrando nel dettaglio quello che ti posso dire è che io tempero il cioccolato e che ogni singolo cioccolato ha la sua temperatura di temperaggio e non è stato così semplice determinarla.
Si tempera il cioccolato perché i legami tra le molecole di burro di cacao sono instabili per cui se non vai a compiere un ciclo termico corretto che parte dal temperaggio al raffreddamento questi legami si possono rompere e di conseguenza il burro di cacao affiora.

Che è quello che accade normalmente nel cioccolato modicano. Io non ho mai amato molto il cioccolato di Modica e pensavo dipendesse dalla presenza di questi cristalli di zucchero; poi però assaggiando il tuo che è temperato e contiene comunque cristalli di zucchero mi sono resa conto che non era quello il problema.

Il problema è che quando affiora il burro di cacao succedono tre cose: la prima, visibile a occhio, è che diventa bianco in superficie; secondo, nel cioccolato di Modica, poiché lo zucchero non è sciolto e quello che tiene legato lo zucchero al cacao è la parte grassa, quando la parte grassa si separa il cioccolato di conseguenza si sbriciola. Rimangono la componente fibrosa e lo zucchero assieme, ed emerge questa invadenza dello zucchero che non è compensata dal grasso; terzo, essendo le note aromatiche veicolate dalle sostanze grasse, le note primarie e quelle secondarie del cacao rimangono residuali.

Tu utilizzi degli zuccheri integrali che sono per loro natura umidi; questa cosa non interferisce con la conservazione della tavoletta?

Sì, interferirebbe. Talvolta riusciamo a chiedere ai fornitori di darci un prodotto con livelli di umidità accettabili, spesso però siamo costretti a lasciar asciugare lo zucchero prima di utilizzarlo.

Nei tuoi prodotti usi spesso scorze essiccate di agrumi locali. Hai modo poi di riutilizzare i frutti?

Al momento no, ma ci sto lavorando.

Perché hai scelto proprio il Nacional, è stato un colpo di fulmine oppure hai assaggiato varie cose e alla fine hai scelto quella?

Ho assaggiato moltissime origini e alla fine ho scelto quella. Quando stavo in Altromercato ho viaggiato per tutta la parte latino-americana e ho avuto contatti con praticamente tutti i produttori di commercio equo, così ho avuto modo di assaggiare, di vedere come lavorano tutti. Quindi è stata sì una scelta legata alla realtà produttiva, a come viene lavorato, ma all’origine c’è una scelta di gusto, perché le note aromatiche del Nacional a me piacciono moltissimo. La scelta di usare un solo tipo è legata al fatto che, comprando direttamente dal produttore in container, essendo io un piccolo produttore non ho ancora la possibilità di poter diversificare.

Non prevedi in futuro di prenderne anche altri tipi, o meglio non ti stimola l’idea di creare degli abbinamenti diversi e quindi di associare degli aromi diversi di cacao a degli aromi diversi di altri ingredienti?

Mah, in realtà non mi stimola, perché penso che sia una minestra già riscaldata a sufficienza, penso che sul cioccolato ci sia molto da dire, ma non in quella direzione.

Dimmi, in che direzione?

Tutte le direzioni che sto percorrendo, dalla funzionalità del cacao all’importanza del cioccolato come prodotto agricolo.

In effetti il cioccolato è un prodotto agricolo.

Sì, il mio sì. Poi dipende da come viene lavorato, da cosa gli aggiungi. Nei miei cioccolati ci sono solo prodotti della terra, non esistono olii, essenze o prodotti di sintesi. Ci sono solo fave di cacao, canna da zucchero e scorze di agrumi, o spezie. Non c’è un ingrediente che subisce una sintesi o una lavorazione se non quella di disidratazione a bassa temperatura, quindi è un prodotto concettualmente e praticamente legato alla terra.
simone sabaini

Mi viene in mente che potenzialmente se non ci fosse la tostatura, sarebbe un cioccolato crudista.

Sì, che poi sul cioccolato crudista secondo me si dicono un sacco di imprecisioni, e mi piacerebbe poter fare qualche domanda. Tipo: come vengono controllate le temperature durante la fermentazione? Perché io posso capire che uno non tosta, va benissimo, ma la temperatura in fermentazione com’è gestita? Oppure mi dicono che non fermentano… ma come fai a non fermentare, è un processo che si genera spontaneamente, quindi vuol dire solo che non la controlli e di conseguenza non controlli la temperatura?
Poi vorrei aggiungere che ho misurato quant’è il decadimento in capacità antiossidante, definita in termini orac o in contenuto di polifenoli, di un cacao in origine non tostato e fermentato correttamente e di uno tostato come lo tosto io, cioè per brevissimo tempo. Il decadimento è nell’ordine del 5%. La mia barretta Giovinezza ha un livello orac di 77.000 unità ogni 100 grammi.
Significa che con 7 grammi di quel cioccolato copri il fabbisogno giornaliero di antiossidanti che è di 5000 unità orac, come è definito negli Stati Uniti dall’Istituto di Sanità. Vorrei misurarlo un cacao definito raw e vedere qual’è il suo livello orac. Se l’obiettivo del raw è mantenere le proprietà funzionali, allora misuriamolo in termini di laboratorio e vediamo cosa ci dice.

Mi hai parlato di una cooperativa, sei mai stato lì in piantagione vedere che succede?

Certo. Ci sono stato a lungo e più volte, quando ero in Altromercato. Ho lavorato per Altromercato per quattro anni e il mondo del cooperativismo del sud del mondo lo conosco piuttosto bene.

In particolar modo la cooperativa da cui ti rifornisci tu, che ha la certificazione fair trade, che tipo di tutela offre ai lavoratori oltre al giusto prezzo pagato per il cacao?

Contratti di lungo periodo, prezzo minimo garantito più premium per le attività sociali (formazione, scuole, infrastrutture sociali o legate al miglioramento qualitativo). Infine i contadini, essendo strutturati in cooperative, prendono parte alle decisioni e fanno quindi parte di un sistema nel quale hanno un ruolo attivo. Nel mio caso i contadini percepiscono un premium legato alla certificazione biologica e alla qualità delle fave.

Gli ultimi arrivati in casa Sabadì sono i torroni. Come mai hai voluto realizzare dei torroni nei quali non c’è il cioccolato? A parte quello in cui ci sono anche le fave di cacao si tratta proprio di torroni bianchi non ricoperti.

Perché in realtà io non mi limito e non mi limiterò al cioccolato. La mia idea è di fare cose belle, cose buone e cose innovative e di ridare dignità a prodotti che sono stati bistrattati. Il cioccolato è la partenza – forse non ho ancora moltissimo da dire nel mondo del cioccolato – ancora due o tre cose, dopodiché farò anche altro.

Perché c’è la lecitina di soia nella tua cioccolata in tazza quando non è presente in nessuno dei tuoi prodotti, e come ti poni sulla questione degli OGM rispetto alla lecitina di soia?

La lecitina di soia che uso è certificata OGM free e nel caso della cioccolata in tazza è necessaria per garantire che il cioccolato si sciolga bene nel liquido che si sceglie di utilizzare per prepararla; altrimenti non sarebbe possibile farla.
simone sabaini

Leggendo in rete le tue interviste ho notato che tu torni spesso sul concetto di bellezza. Che cosa intendi esattamente con la parola bellezza e perché pensi che sia veramente così importante?

Questo è un tema che meriterebbe qualche giorno di discussione, più che qualche minuto. Vediamo se riesco a sintetizzarlo in qualche modo. In realtà fa parte di un processo personale; diciamo che essere di fronte alla bellezza, nutrirsi di questa bellezza, consente di raggiungere un livello di apertura mentale, di astrazione dalle dinamiche che governano l’agire comune, e ti consente di comprendere il senso di molte cose. Davanti alla bellezza quello che io sento è che la mente toglie tutto ciò che non è necessario. Da lì si apre la creatività.
Io dico scherzando, ma in realtà ci credo molto, che Sabadì continuerà ad essere innovativa e continuerà ad andare bene nella misura in cui io posso continuare ad andare al mare. È una banalizzazione, però per poter vedere le cose da una prospettiva diversa, quindi non essere condizionato da ciò che il sistema ci vuole far vedere, è necessario in qualche modo astrarsi, ed è la bellezza a consentircelo. Quando arrivi a vedere la bellezza in sé e la riesci a vedere nelle piccole cose, essa ti porta a questo processo di creazione, di astrazione da ciò che il mondo che ti circonda vuole indurti a pensare.

Quindi tu con bellezza ti riferisci a una bellezza altra, perché spesso ci viene venduta come bellezza roba che in realtà non lo è.

È una bellezza molto legata all’energia, alla consapevolezza, una bellezza nel senso platonico del termine. Poi, ripeto, questo è un tema molto complesso…

Il tuo progetto colpisce per coerenza, pulizia e trasparenza; infatti sul tuo sito ci sono già tutte le informazioni necessarie. È stato difficile rimanere fedeli a questo percorso? Ti è mai capitato che qualcosa di esterno al tuo progetto ti facesse percepire questa impresa come particolarmente difficile, quasi come impossibile? E se sì, quando?

No mai. Sono fermamente convinto che l’unica forma di comunicazione efficace e lungimirante, oltreché giusta, sia quella che lascia trasparire la verità.

Mi riferivo più che altro al fatto che tu ti inserisci con un concetto che non appartiene alla bellezza che ci viene venduta, ma a una bellezza altra, e spesso questa “bellezza altra” viene ostacolata. A volte si incontrano delle difficoltà nel realizzare quello che si vuole, perché non sono contemplate nella dinamica comune. Intendevo in questo senso.

Sì, ma in questo senso c’è un’altra parte di me che ha sviluppato strumenti ed esperienze che consentono di difenderla. Diciamo che non è così semplice essermi nemico. Chi mi conosce bene sa che posso essere il migliore degli amici o il peggiore dei nemici.

Ecco… speriamo di esserti amici allora! Quando è uscita la tua cioccolata modicana hai incontrato delle resistenza da parte dei consumatori e degli altri artigiani di Modica?

Da parte dei consumatori la più grande difficoltà è stata convincerli ad assaggiare un “cioccolato di Modica”. Proprio quando sentivano che era “cioccolato di Modica” non lo volevano assaggiare. Poi quando lo assaggiavano e capivano che è diverso lo apprezzavano. Ovviamente non sono ben voluto da alcuni artigiani, ma questo fa parte del gioco.

Pensi che sia solo perché fai un prodotto diverso che va molto bene o perché sei di fuori?

Questo contribuisce, dà fastidio sicuramente, poi dipende, non a tutti. C’è chi è intelligente e capisce che faccio il bene in generale del cioccolato di Modica, anzi magari prova in qualche modo a seguire un esempio perché ne può avere solo un beneficio, altri invece che percepiscono reati di lesa maestà.
Sicuramente dà fastidio che io dica quella che ritengo sia la verità, cioè che si è voluto trasformare un prodotto storicamente fatto per un consumo fresco in un prodotto a lunga scadenza spacciando un evidente difetto organolettico (l’affioramento del burro di cacao) che si manifesta dopo il tradizionale ciclo di produzione e consumo (2-3 settimane) in una caratteristica del prodotto perché diversamente non si sarebbe potuto vendere fuori dai confini modicani.
simone sabaini

Se non sapessi che sei di Verona e dovessi giudicare solo dal tuo sito e da tutti i tuoi prodotti, penserei che sei siciliano: cioccolato modicano, agrumi di Sicilia, erbe di Sicilia, per non parlare del bellissimo disegno che si forma accostando i tuoi torroni, che immagino sia l’Etna.

Sì certo, c’è Modica, Scicli, Noto e Ortigia in quel disegno.

È buffa questa cosa! Il tuo prodotto sembra più siciliano degli altri cioccolati di Modica. Gli altri non trasmettono la stessa “sicilianità”, per così dire.

Io non credo che trasmetta sicilianità… perlomeno non nel senso tradizionale del termine. È una sicilianità auspicata, spero in divenire.

A me l’ha trasmessa.

Questo mi fa piacere. Io credo che trasmetta bellezza, e la bellezza in Sicilia è emozionante e forte, e di conseguenza io la trasferisco nei miei prodotti. Quando posso cerco di fare un omaggio alla terra che mi ha accolto e che mi dà tanto, al di là delle persone. A una terra che dà così tanto sono estremamente riconoscente e cerco in qualche modo nel mio piccolo di far ritornare quello che posso.

Ok, abbiamo finito. Ti ringrazio moltissimo di questa chiacchierata.