È abbastanza sconfortante col senno di poi rendermi conto che il mio concetto di cedro candito è un cubetto verde acceso, molliccio e abbastanza insapore che ho sempre tolto pazientemente dai vari dolci lievitati della mia infanzia, scavando con le dita per asportarlo chirurgicamente insieme a tutti i suoi fratellini (avevo già i 5 pianeti in vergine belli attivi).

cedro candito ricetta

La prova provata che quarant’anni fa eravamo già molto lontani dal cibo vero, che non ho mai avuto nemmeno la possibilità di imparare qual era il sapore originale di tanti cibi; e per fortuna che nel sangue mi circolano globuli rossi e attrazione irresistibile per tutto ciò che è nuovo e diverso, perché vedo tante persone che quando assaggiano che so, un latte che sa di erba e fieno o un pollo che ha la consistenza di un pollo serio fanno una faccia disgustata perché — diciamoci le cose come stanno — siamo stati quasi tutti abituati a cibi e sapori neutri, o peggio coperti da molto zucchero o molto glutammato per avere un qualche tipo di attrattiva.

Gli unici fortunati che grazie al cielo hanno conservato questa importantissima cultura, fatta non solo di sapori e profumi ma anche e soprattutto di autoproduzione (che se non hai i sensi ben sviluppati difficilmente ti interessa) sono gli ex-bambini e ragazzi che hanno vissuto per qualche motivo a contatto con la terra: nelle campagne attorno alle città, in montagna, nei tanti piccoli centri rurali che ancora grazie al cielo abbiamo in Italia.

È dalle campagne che a mio avviso provengono quelle che adesso sono le persone veramente colte: gente che ha conservato le conoscenze che a chi è nato in città sono state sfilate come roba superata, e che però ha anche una buona cultura informatica. Io per esempio, provenendo da una famiglia napoletana di commercianti e avvocati, sono cresciuta ignorando totalmente quella che ritengo la cultura vera, quella che potenzialmente potrebbe salvarci dal nulla nel quale stiamo annaspando.

La maggior parte delle persone con cui parlo quando accenno alla necessità di tornare alla terra si vedono immediatamente triste e stanche, vestite di stracci, con le mani distrutte dal lavoro e la terra incrostata sulla faccia, che mugugnano due parole in un qualche dialetto sconosciuto seduti a tavola su una sedia di paglia spettinata mentre mangiano una patata bollita con bucce di fave a contorno, abbandonati dal mondo e immersi nell’ignoranza.

cedro candito ricetta

Incomprensibilmente l’immaginario collettivo di chi vive in campagna è ancora questo quadretto medioevale, mentre i pastori oggi postano le foto della transumanza in tempo reale con l’ipad e i contadini selezionano i chicchi di grano con macchine ottiche precise al millimetro.

cedro proprietà

Veniamo al dunque. Supponendo che abbiate la possibilità di accedere a dei bei cedri come quelli che mi ha regalato la mia dolce amica Barbara e che vedete in tutto il loro splendore nelle foto qui attorno, Come li trasformiamo in meravigliosi canditi degni di questo nome, che conservano tutto il sapore e il profumo dei cedri appena colti per tantissimo tempo e che possiamo usare vantaggiosamente nelle varie preparazioni tipiche della Pasqua che si appropinqua?

come candire il cedro

In questi anni ho vagabondato spesso sulla rete cercando consigli e pareri su come trattare nel modo migliore i cedri ; finalmente mi sono decisa a mettere insieme tutto quello che ho appreso, a fare il solito pot-pourri di informazioni e mettermi al lavoro concretamente.

Di solito — per avere una panoramica più ampia — cerco sempre in inglese, ma in questo caso ho spulciato soprattuto siti e forum italiani visto che i cedri sono tipici del nostro splendido territorio. Tra i tanti copia incolla nei quali inevitabilmente si incorre, vi annoto qui di seguito i punti fermi più interessanti che ho trovato durante la mia ricerca, a imperitura (e perfettibile) memoria.

In primis, bisogna trovare un metodo per far penetrare bene lo zucchero all’interno delle scorze degli agrumi, e del cedro in particolare perché ha scorza una piuttosto dura, un albedo (la parte bianca e amara) molto spesso e in generale il frutto è grosso e pesante.

La maggior parte dei blog e dei siti che ho consultato consigliano una bollitura di una ventina di minuti o più (anche due ore!), a volte reiterata, per ammorbidire bene le scorze e togliere l’amaro. Il sito dell’Aifb consiglia addirittura di congelare preventivamente le scorze in modo da far rompere le fibre ai cristalli di ghiaccio che si formano negli alimenti che contengono acqua quando sono in freezer e renderle così più facilmente penetrabili dallo sciroppo (lo consiglia anche Aldo Bongiovanni in un post nel quale candisce le bucce di arancia con il miele – devo provarci assolutamente!), e di usare per la canditura un rifrattometro, strumento professionale che misura la percentuale di zucchero nell’acqua.

Io per non saper né leggere né scrivere ho deciso di seguire — con qualche variazione — il procedimento di Elisa, che consiglia di mettere preventivamente le scorze sotto sale per 24 ore, in modo da asciugare un po’ l’acqua che contengono e rendere i canditi più consistenti e compatti (nel terzo scatto vedete raccolto nel bicchiere il liquido che hanno buttato fuori — non poco). Lei dopo suggerisce di sciacquarli dodici volte per togliere più sale possibile, io non ho retto e li ho sciacquati tre, ma in compenso li ho tenuti in ammollo in acqua pura per altre 24 ore, e poi invece di bollirli per venti minuti li ho bolliti per cinque minuti (dalla ripresa del bollore).

Da qualche parte, ma non sono riuscita a ritrovare dove, ho letto che si dovrebbero usare i cedri verdi, ancora acerbi (se non sbaglio alla fine dell’estate), e questi ultimi reggerebbero molto meglio la salatura; questo spiegherebbe perché il colore tipico del cedro candito è il verde. Se riuscirò a mettere le mani su qualche cedro acerbo l’estate prossima proverò e vi farò sapere.

Per il resto ho seguito tutto il procedimento passo passo, solo che siccome sono stata testarda e ho accorciato i tempi di bollitura ci ho messo più giorni a candirli, precisamente una decina (considerato anche che le mie scorze erano tagliate molto più spesse di quelle che vedo nelle foto di Elisa).

Ah e poi invece di farle seccare sulla gratella ho preferito conservarle nel loro sciroppo, perché rimangono più morbide (ho aggiunto il famoso cucchiaio di miele allo sciroppo per non farle indurire, ve ne avevo parlato nel post sulla canditura delle scorze di arance); poi quando mi servono per un dolce eventualmente le faccio scolare per una notte su una gratella (e la scolatura la recupero e me la spalmo sul paneeee!).

cedro canditura

Ad ogni modo per farvi capire bene bene tutto il procedimento — ché da bravo grafico so bene che un’immagine vale più di mille parole — ho seguito fotograficamente le scorze di cedro durante tutto il loro soggiorno in cucina, che è durato una quindicina di giorni, cosa che mi ha fatto subito venire in mente la casa del grande fratello (della quale grazie al cielo ho seguito solo per alcuni giorni la prima edizione), e da qui lo spiritosissimo titolo che ho appioppato a questo post (se l’avevate capito da soli vi mando a casa un vasetto di scorze di cedro appena uscite dal processo di canditura).

cedro canditura procedimento

Prima di lasciarvi al procedimento volevo ancora dirvi un paio di cose: primo, se seguite esattamente la mia ricetta otterrete canditi con un retrogusto amaro piuttosto marcato, che a me piace da morire e che dà ai canditi un certo potere digestivo — almeno su di me, e questo mi fa capire uno dei probabili motivi della loro inclusione negli impasti lievitati burrosi e zuccherosi — quindi se volete evitare il problema aumentate ad hoc il tempo di bollitura in acqua nella prima fase, prima della canditura (io direi fino a mezz’oretta, o reiterandolo più volte).

Secondo, oltre ad usarle tal quali, tagliate a dadini nei dolci, vi segnalo altre due appetitose possibilità di utilizzo di queste scorzette, scovate qua e là in rete: les cedrettines di Sigrid, datate la bellezza del 2005, che consistono in una doppia copertura di cioccolato fondente delle stesse, e la pasta di scorze di cedro candito di Cannella e Gelsomino, fatta semplicemente frullando le scorze e conservata poi in un vasetto in frigo, da utilizzare per aromatizzare ciambelle e torte (o queste meraviglie, YUM!!!) o per tutto quello che vi salta in testa <3

Ingredienti:
750 grammi di scorze di cedro (circa tre cedri ma dipende dalla grandezza)
1 chilo di sale marino integrale, grosso
750 grammi di zucchero
1 cucchiaio di miele
400 grammi di acqua pura

Per prima cosa lavate per bene i vostri bei cedri, asciugateli e tagliate via le due calotte in modo da avere scorze regolari. Tagliate poi i cedri a metà nel senso dell’altezza, asportate la poca polpa centrale e tagliate le scorze a pezzi più o meno grandi (io ho preferito tagliarle a listarelle un po’ più larghe di un dito come potete vedere nelle foto).

Munitevi di un bel setaccio o di un colapasta molto largo, disponete le strisce di scorza di cedro in due strati intervallati da tanto sale (cedro, sale, cedro, sale), coprite con un coperchio o un piatto e lasciateli scolare in un piatto o sul lavello per ventiquattr’ore. Nella terza immagine vedete quanto liquido hanno scolato i miei, ho messo un rialzo e un piatto sotto per raccoglierlo.

Trascorso questo tempo, togliete le scorze dal sale (io per non gettare via il sale l’ho riutilizzato insieme al liquido scolato per un bel bagno caldo) e sciacquatele molto bene. Fatele poi fatte bollire cinque minuti (dalla ripresa del bollore) in abbondante acqua pura e infine le lasciatele asciugare su un panno pulito per tutta la notte.

Il giorno dopo ho preso le scorzette e ho tagliato via circa un centimetro di albedo, come vedete nella sesta foto. Ho tolto la parte più spugnosa, ma rimaneva un sacco di albedo per fare poi tanti bellissimi cubetti di canditi per-fet-ta-men-te-cu-bi-ci (ihihihi). A questo punto potete preparare lo sciroppo sciogliendo lo zucchero nell’acqua e mettendolo sul fuoco fino a raggiungere i 110 gradi (se non avete il termometro, come me, portate a ebollizione per un cinque minuti a fiamma altina). Posizionate le scorze tutte belle sdraiate, in una ciotola di vetro resistente al calore, con l’albedo verso l’alto, in due strati, e versateci sopra lo sciroppo bollente con delicatezza per non farle scomporre.

Mettete sulle scorze qualcosa che le tenga sotto lo sciroppo. Io mi sono ingegnata con un setaccio di metallo per la farina con sopra una ciotola pesantina, una roba arrangiata ma che ha funzionato perfettamente. Coprite e lasciate il tutto così per ventiquattr’ore. Dovrete ripetere questo procedimento ogni giorno fino a quando le scorze non saranno perfettamente trasparenti (non mezze e mezze come nell’ultima immagine che vedete); cosa che dipenderà da quanto avete bollito le scorze, che spessore hanno, se le avete congelate prima etc. Le mie ci hanno messo una decina di giorni, quindi in tutto tredici giorni considerando il primo giorno sotto sale, il secondo giorno di sciacquatura e ammollo in acqua, il terzo di bollitura e asciugatura.

Quando deciderete che è il momento dell’ultima bollitura, nella quale bollirete anche le scorze insieme allo sciroppo per avere tutto bello sterilizzato, scaldate in forno per una ventina di minuti a 90/120°C qualche vasetto di vetro termoresistente adatto a tenerle belle strette e immerse nel loro liquido e invasettate il tutto (ricordate, coperchi nuovi e bolliti), facendo attenzione a ricoprire completamente le scorzette con lo sciroppo.

Mettete tutto a testa in giù per creare il sottovuoto e quando saranno ben freddi conservate in un posto fresco o, meglio ancora, in frigo. Se dovesse rimanere un po’ di sciroppo (ma ne dubito) potete passarlo al colino — ci sarà qualche piccola impurità — e tenerlo in frigo per qualche giorno; per me è fantastico nello yogurt, sulle torte o i muffin, sulle frittelle o anche diluito con l’acqua, da bere; ma ha un retrogusto amaro che deve piacere.