Queste era un secolo che volevo farle, ma quando provo a realizzare un piatto tipico ho sempre un po’ di timore reverenziale, visto che non appartiene alle mie radici e non vorrei mai offendere qualcuno che magari ha visto bisnonna, nonna e madre prepararlo e poi arrivo io fresca fresca e gli dico “si fa così” :-P
seadas
Però visto che mi trovo in una specie di paradiso sulla terra ancora per qualche giorno (non per mio merito eh, siamo a casa della mamma dello zacco), e che il suddetto eden è strapieno di piatti tipici e delle materie prime per realizzarli (sìììììì!!! Sono riuscita a trovare anche qui un produttore consapevole di fiducia, forse andrò anche a trovarlo, ecco!) almeno vi mostro qualcosa di mangereccio che ho trovato qui sul posto. Ah scusate non vi ho detto dove sono, e non è un particolare trascurabile mi sa! Mi trovo nel nord della Sardegna, di fronte alla Maddalena, ma in vista anche della Corsica.
Inutile raccontarvi cos’è questo posto. Il colore del mare è quello degli atolli caraibici (ma mooooooolto più freddo, brrrr!); quando entri in acqua (io al massimo fino a metà coscia ovviamente) vedi spessissimo branchi di pesciolini che ti corrono tra le gambe, stelle marine che zac cattura per la piccola (per pochi minuti, eh, poi le rimette in acqua!) e a volte a pochi metri anche cefali non dico adulti ma sicuro adolescenti %-)

Ieri in spiaggia un gabbiano reale si è soffermato a un metro e mezzo dalle nostre teste, quasi immobile nell’aria, per me è stata un’emozione indescrivibile. Un paio di giorni fa tornavamo verso casa in macchina e abbiamo beccato una Tartaruga Marginata bella grossa che stava per attraversare la carreggiata, abbiamo dovuto fermarci e rimetterla nella macchia mediterranea, prima che facesse una brutta fine, non senza fotografarla *prima* tra le mani della pulcina (eh no questa ve la dovevo far vedere per forza!!).

Ma qui comunque non è difficile vedere conigli selvatici, coturnici, falchi, e la sera grossi cinghiali che ti attraversano la strada! Per non parlare della vegetazione, che ha un profumo che c’è solo e unicamente qui, e che sa di mirto, di elicriso, di rosmarino, ginepro, corbezzolo, lentisco, lavanda, finocchio e aglio selvatici, insomma in-des-cri-vi-bi-le.
punta sardegna
Potrei parlare per ore di quest’isola, per adesso mi fermo se no vado fuori argomento! Ecco, il fatto è che qualche giorno fa ho acquistato a Palau un libro di quasi-cucina (appena ho un secondo magari ve lo recensisco) che si chiama “La cucina delle Janas” sul quale ho trovato una bella ricetta per questo dolce-non-dolce tipicamente sardo.
Dal leggere al fare è passato solo il tempo di andare in paese, trovare un formaggio atto all’uopo (e fare tante ma tante domande sulla provenienza etc, ma qui a volte bisogna accontentarsi, dove sapete che accontentarsi per me vuol dire rasentare la perfezione eh), e mettermi subito all’opera.
seadas dolce sardo
Il problema che ho incontrato non è stato tanto per il ripieno (a differenza di quanto si può credere non è che si prende una fetta di formaggio e si sbatte dentro due dischi di impasto, o almeno non tutti fanno così), che è venuto benissimo, quanto per l’impasto stesso che nel libro era descritto veramente a spanne, non so se per problemi di spazio o cosa, forse un refuso, anche noi nel pastonudolibro come sapete ne abbiamo scoperto qualcuno.
frittura asciuttissima
In pratica negli ingredienti non erano indicate le quantità, c’era appuntato solo un generico “400 g di farina, olio extravergine d’oliva, sale marino” e poi nel procedimento c’era scritto: “impastare la farina con l’olio e il sale sciolto in un cucchiaio di acqua tiepida, sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo”. Ecco, provate voi a impastare *prima* quasi mezzo chilo di farina con dell’olio (quanto!?) e poi aggiungere *un* cucchiaio d’acqua. Otterrete una specie di pasta frolla senza uova, diciamo un quasi-crumble. Non so, forse se fossi veramente brava in cucina me ne sarei accorta subito. Oppure avrei in qualche modo recuperato la situazione. Io sono riuscita solo a disperarmi, aggiungere un po’ d’uovo e mettere tutto da parte per fare una crostata di ripiego.
seadas
Dopo di che però mica potevo rimanere senza Seadas!! Eh no no no no no!! Che ho fatto, mi sono collegata alla rete e ho cominciato a spulciare tutte le varie ricette esistenti. Quasi tutte le ricette però includevano l’uovo nell’impasto, cosa che non mi convinceva molto. Fatto sta che anche le seadas non sfuggono alla celeberrima regola delle preparazioni tradizionali, cioè ogni famiglia sostiene di avere la ricetta vera e perfetta, come descrive benissimo Vera nel suo bel blog.
Dopo un po’ di giri in giro sono capitata finalmente su una discussione molto interessante su questo forum, al quale ho attinto già altre volte e finalmente ho trovato quello che cercavo: una ricetta per fare l’impasto (che nella discussione chiamano “pasta violata”) senza uova. L’impasto comprende lo strutto, ma visto che siamo in estate ne ho provata per voi uan versione con l’olio d’oliva, da utilizzare anche se fa freddo ma non avete possibilità di accedere allo strutto di maiali felici.
Adesso sto per dire una cosa molto ma molto blasfema… se per caso nel continente non trovate la panedda o la peretta sarde (o gli altri di cui parlano nel forum e che non ho il piacere di conoscere) secondo me senza farvi vedere da eventuali sardi che dovessero girare in casa vostra potete utilizzare benissimo una scamorza molto fresca (qui lo dico e qui lo nego! Io niente dissi e niente saccio!).
formaggio per le seadas
Anche per il ripieno ci sono varie scuole di pensiero. Ho trovato molte informazioni interessanti sul sito da cui discende il forum di cui sopra: in questa ricetta, che ha l’unico difetto di prevedere la vanillina (ARGHHHHH!) tra gli ingredienti, ho letto che il migliore formaggio da usare sarebbe la cagliata (se ho ben capito… non so se intenda questa che si può fare in casa), che andrebbe poi avvolta in una pezza umida di lino in modo che raggiunga un certo grado di acidità.
seadas ripieno
Inoltre alcuni utilizzano la fetta di formaggio tale e quale, altri la sciolgono e aggiungono un po’ di semola come ho fatto io (in realtà la prima volta ho usato il farro dicocco semintegrale di Sonia sia per il ripieno che per l’impasto ed erano perfette!); altri ancora lo mettono a dadini o grattugiato e poi lo sistemano sui dischi di pasta a cucchiaiate; nella ricetta che vi ho linkato sopra, si sostiene che non bisognerebbe assolutamente utilizzare l’acqua per sciogliere il formaggio, ma latte.
come cuocere le seadas
In quanto alle aromatizzazioni, alcuni aggiungono al ripieno foglie di menta, altri solo buccia di limone grattata, e nel forum che vi ho citato giurano che anticamente ci andasse il prezzemolo (in sardo “su pedrusimimula”)! Insomma voi fate un po’ come vi pare, ma provate a farle perché sono veramente strepitose e, a differenza di quanto può sembrare, molto semplici da preparare. Anche la sorella di zac, che è un’intenditrice di seadas (nel senso che le adora) ha detto che sono identiche alle originali. Se qualche sardo doc le provasse mi faccia sapere, io sono mooolto volenterosa di imparare :-)

Ingredienti:
per l’impasto:
500 grammi di semola rimacinata di grano duro o di farro dicocco semintegrale
300 grammi circa di acqua calda (o di latte intero fresco)
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva o di strutto felice
1 presa di sale marino integrale

per il ripieno:
400 grammi di formaggio molto fresco (vedi sopra)
20 grammi di semola rimacinata di grano duro o di farro dicocco semintegrale
2 cucchiaini di scorza di limone grattata
100 grammi di acqua pura

altro:
olio extravergine d’oliva (o strutto) per friggere
miele di corbezzolo o un’altro miele poco dolce

Per prima cosa preparate il ripieno: tagliate il formaggio a dadini, mettetelo in una pentola capiente, aggiungete l’acqua (o il latte) calda, il sale e la scorza di limone. Mettete tutto a scaldare su fiamma bassa, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Quando il formaggio è completamente sciolto aggiungete la semola e continuate a mescolare fino a quando l’acqua in eccesso non si sarà asciugata.
Spegnete e lasciate intiepidire, poi inumiditevi le mani, prendete delle palline di impasto formaggioso e schiacciatele fino a formare dei dischetti alti circa un centimetro e con un diametro di circa 4 centimetri. Disponeteli su un telo pulito e copriteli con un altro telo. Quando saranno ben rassodati potete anche arrotolarli nel telo e conservarli in frigo per un paio di giorni. In alternativa potete anche stendere tutto l’impasto su un piano, in modo che sia alto un centimetro, aspettare che si freddi e poi ritagliare con un coppapasta i cerchi di formaggio, ma secondo me in questo modo c’è più scarto, e poi siccome il formaggio dovrà sciogliersi non ha molto senso che sia preciso (e se ve lo dico io… ehm).
Mentre il ripieno si riposa approcciate l’impasto. Mettete la farina in una terrina, versate gradatamente l’acqua e impastate; aggiungete il lardo lo strutto o l’olio e poi il sale, e continuate a impastare fino ad avere una pasta piuttosto liscia, che dovrete mettere a riposare coperta a campana (che significa con una ciotola rovesciata sopra) una mezz’oretta. Trascorso questo tempo, riprendere la pasta, impastatela ancora un po’ (è piacevolissima da manipolare!), poi armatevi di matterello, prendetene dei pezzi man mano e stendeteli molto sottilmente, più sottili che potete. Pare che la sfoglia debba essere quasi trasparente (ma vanno benissimo un paio di millimetri, non vi scoraggiate!), e quanto più fine è, tanto più prelibata viene considerata la seada.
A questo punto prendete un coppapasta (o, se come me siete in vacanza senza strumenti fondamentali, una tazza!) del diametro di circa 7 centimetri, ritagliate tanti dischi (io avevo anche una rotella tagliapasta che ho fatto scorrere intorno al perimetro) e metteteli su uno strofinaccio o su un tagliere leggermente infarinato (io la seconda volta sono riuscita a fare tutto senza farina).
Posizionate i dischetti di formaggio sulla metà dei dischetti e richiudete con l’altra metà passando sui bordi un dito (o un pennellino) inumidito con un po’ d’acqua. Non vi resta che schiacciare i bordi con i rebbi di una forchetta e le vostre seadas saranno pronte per essere fritte.
Passate senza indugio alla cottura. Versate due dita d’olio in un padellino di ferro e mettete sul gas a fiamma medio alta. L’olio non deve essere rovente ma neanche troppo freddo; fate la solita prova con la coda del cucchiaio di legno e partite appena vedete le bollicine che partono dalla coda del cucchiaio verso l’esterno.
Mettete dentro le seadas una alla volta; non devono essere completamente immerse, ma solo circa a metà; durante la frittura dovete armarvi di un cucchiaio di legno e usarlo come una paletta per gettare dell’olio bollente sulla superficie della seada. Solo in questo modo la seada si gonfierà verso l’alto, come vedete nella sequenza qui sopra.
Girate la seada dall’altro lato aiutandovi con un secondo cucchiaio, stavolta per pochi secondi, e ripetete la stessa operazione con l’olio (non è difficile, è divertente! Fate solo attenzione a non versarvi l’olio sui piedi a forza di fare l’onda (mica perché è successo a me, eh).
Non vi resta che mettere la seada ad asciugare brevemente sulla carta scura (la mia come vedete ho dovuto metterla sulla carta da cucina, ché qui non c’era altro, ma voi evitate, sono piene di colle nocive), passarla in un piattino, napparla con un filo di miele intiepidito e servirla immediatamente; dev’essere molto calda altrimenti il formaggio si rapprende.
Alcuni immergono completamente la seada nel miele, a me piace poco dolce; sul libro delle janas c’è scritto che si possono preparare anche in forno, semplicemente spennellate d’olio. Io l’ho fatto, ma forse ho regolato la temperatura troppo bassa e le seadas non erano un gran che (però me le sono mangiate lo stesso 8-)).