Ho imparato più in due settimane da questo gioco che in quattro anni di oziose ricerche sulla pastiera e in generale sui dolci della tradizione partenopea, per non parlare della stupefacente riviviscenza di sapori che credevo ormai relegati per sempre alla esponenzialmente lontana infanzia della sottoscritta.

Questa staffetta per me è stata meglio di qualsiasi tenzone; ho pure dovuto fronteggiare una sorta di impeto competitivo, nondimeno scevro di tutta la parte negativa che di solito ne è parte inscindibile, dissoltosi nella gioia indescrivibile di condividere esperienze, esaltazioni e paure di tutte le altre.

Bene, vi dico solo che dopo aver fatto la pastiera tutta precisa (lo sapete, no, con la riga per fare le strisce e tutto il resto che vi immaginate) ho scoperto con sgomento, guardando le stupefacenti foto delle altre, che avevo commesso un errore irreparabile.

Concentrata nel tentativo di sperimentare procedure innovative tese a rendere il dolce più consapevole possibile (ma neanche tanto, che stavolta c’è stata commistione di grassi di ben tre animali diversi, ma, oh, stiamo parlando della Pasqua, la fine della penitenza!!), ho completamente toppato l’aspetto estetico della situazione, e mi sono ritrovata con orrore una pastiera con il bordo di pasta frolla ripiegata, tipo crostata della nonna. AAAARGHHH!!!

Se mi leggete da un po’ potete ben capire il dilemma esistenziale che mi ha attanagliato da quel momento; rifare da capo la pastiera, e tutto il lavoro che ne conseguiva, compresi i giri di ricerca delle preziose materie prime dai singoli produttori, o lasciare le cose così com’erano, e propinarvi la versione la volpe e l’uva (a me non piacciono le pastiere senza bordo) o quella dall’alto in basso (poveracci questi che fanno la pastiera senza bordo, che è, non avevano abbastanza pasta frolla?).

Mi sono chiusa in un mutismo ascetico per tipo due giorni, invocando un segno del destino che è arrivato sotto forma di una telefonata del prof Giannattasio, che senza tanti preamboli mi ha detto: “beh ovviamente venerdì (conferenza alla scuola della pulcina) me ne porti un ruoto, no?”.

Così mi sono precipitata a rimettere insieme tutto l’occorrente, e ho rifatto tutto da capo, cosa che oltretutto mi ha anche dato l’occasione di perfezionare dosi e procedimento, rubacchiando qualche consiglio a quelle di noi che avevano già pubblicato.

Eccovi quindi la versione migliorata della versione migliorata della pastiera di qualche anno fa, che avevo preparato con il grano kamut. Folgorata dal farro monococco, che i Floriddia stanno amorevolmente coltivando (ve la immaginate la telefonata nella quale supplicavo Sonia di mandarmelo entro ventiquattr’ore ché ne andava della mia vita?), e sul quale ho letto meraviglie.

Quando ho affondato la mano nel prezioso sacchetto che Sonia mi ha prontamente inviato la mia prima reazione è stata di profonda sorpresa: i chicchi di farro monococco sono poco più grandi di quelli del riso; non me li aspettavo così semplici e umili. Rispetto al grano che viene commercialmente chiamato Kamut (varoetà molto simile al nostro italianissimo Saragolla)? Sono molto grossi e lunghi, ecco, mi aspettavo qualcosa del genere.

Ho capito subito che non avrei mai potuto tenerli in ammollo tre giorni come si fa con il grano comune; si sarebbero disfatti. E infatti è bastata una notte, e mezz’ora di bollitura per cuocere il farro a puntino. E ho anche potuto permettermi di non ricuocerlo nel latte e burro (con il plus di evitare la saturazione dei grassi che sapete), ma di lasciarcelo semplicemente in ammollo per un’altra notte.

Prima di lasciarvi alla ricetta, ché se no vi dico tutto prima come al solito, vi ricordo che oggi insieme alla mia versione potete leggere quella di Daniela, che ha preparato la torta di grano, antesignana della pastiera, e vi copio-incollo l’accoppiamento bacchico che l’illustrissimo Luciano Pignataro che ben conoscete ha pensato per questo dolce votato alla consapevolezza!

“Per questa pastiera così decisamente impostata sugli ingredienti naturali e bio l’abbinamento è spontaneo: il Syduri Primitivo dolce de Le Fabbriche, la cantina di Alessia Perrucci, in coltivazione ricorosamente biologica. Un’azienda dove si studiano anche i metodi biodinamici. Il Primitivo è dolce naturale, non stucchevole. Abbinamento di palato e di testa: il migliore.”

Ingredienti:
per la pasta frolla:
330 grammi di farina di farro semintegrale
170 grammi di zucchero grezzo chiaro
150 grammi di strutto serio
3 uova di galline gioiose
la buccia grattugiata di un limone

per quello che riguarda il farro:
200 grammi di farro monococco
300 grammi di latte intero fresco
la buccia di mezzo limone
30 grammi di burro
1 cucchiaio di zucchero grezzo chiaro
sale marino integrale quanto basta
70 grammi di buccia di arancia candita
(o, se ce l’avete, di un misto di zucca e di buccia di arancia e di cedro canditi)

e nel ruolo della ricotta:
500 grammi di ricotta freschissima di pecora felice
250 grammi di zucchero grezzo chiaro
3 uova vitali
mezzo cucchiaio di cannella in polvere
2 cucchiai di rum
2 gocce di olio essenziale di fiori d’arancio (neroli)
(o, se li trovate, fiori di arancio amaro in boccio)

Giorno 1
Verso sera mettete a bagno il farro monococco in una ciotola grande con abbondante acqua pura, coprite e mettete in un luogo riparato. Se avete avuto la fortuna di trovare i boccioli di fiori di un arancio amaro cresciuto lontano da fonti di inquinamento, metteteli in un bicchiere e copriteli con un paio di cucchiai d’acqua fresca; coprite e lasciate lì tutta la notte.

Giorno 2
Al mattino, scolate il farro e sciacquatelo fino a quando l’acqua non sarà limpida, poi mettetelo in una pentola bella grande, riempitela d’acqua, aggiungete poco sale e mettetela sul fuoco vivace; quando bolle abbassate leggermente la fiamma e lasciate cuocere il farro fino a quando non vi sembrerà decisamente cotto e cedevole. Lasciatelo a scolare in un colapasta.

Mettete poi il latte, il burro, lo zucchero, un pizzico di sale e la buccia del limone tagliata a striscette (senza l’albedo) in un pentolino, ponetelo sul fuoco e mescolate il tutto solo fino a quando il burro non sarà appena sciolto. Versate tutto in una ciotola di vetro, aggiungete il farro ben scolato, mescolate bene, aspettate che il tutto si freddi, coprite con la pellicola senza pvc e mettete in frigo.

Setacciate la ricotta, mescolatela bene con lo zucchero e l’olio essenziale di fiori d’arancio (o l’acqua aromatizzata ai fiori d’arancio), avvolgetela in un telo molto sottile lavato senza ammorbidente (o sistematela in un colino) e mettetela a scolare il liquido superfluo in frigorifero (questa operazione serve a scongiurare il rischio che il fondo della pasta frolla si inumidisca in cottura o nei giorni successivi).

Preparate la pasta frolla: io, ebbene sì, anche stavolta ho usato il kitchen aid, ho montato la foglia, ho sabbiato alla velocità minima la farina di farro con lo zucchero, la buccia grattugiata del limone e lo strutto, poi ho aggiunto poco alla volta due uova intere e un tuorlo mescolati velocemente con la forchetta, e appena ho visto che il tutto prendeva una forma ho tolto l’impasto dalla ciotola, l’ho messo sulla spianatoia infarinata, gli ho dato velocemente una forma discoidale con le mani, l’ho avvolto nella pellicola senza pvc e l’ho messo in frigo.

Giorno 3
Imburrate e infarinate una teglia di alluminio del diametro di 24 centimetri e mettetela da parte, scolate il grano cotto “marinato” nel latte e preriscaldate il forno a 150°C, con la griglia posizionata sul ripiano medio-basso e la pietra refrattaria (Teresa sostiene che in questo modo la pastiera cuoce molto meglio sul fondo, visto che anticamente la morte sua era nel forno a legna).

Stendete la pasta frolla su un foglio di carta forno infarinato fino a quando otterrete uno spessore di tre o quattro millimetri; rigirate il tutto molto delicatamente sulla teglia infarinata e tagliate via la pasta frolla che sborda (questo passaggio è molto importante, ehm); mettete a riposare in frigorifero. Con la pasta frolla che rimane, se possibile senza impastarla nuovamente, ritagliate le strisce che vi servono per la griglia e mettetele al fresco.

Prendete la ricotta zuccherata che avevate messo a scolare in frigo, mettetela in una ciotola grande, aggiungete tre tuorli, la cannella, il rum, le bucce di arancia candite (o i canditi in genere) tagliate a dadini e il farro cotto, mescolate bene tutto, poi montate a neve due albumi e aggiungeteli al composto mescolando come al solito dal basso verso l’alto.

Tirate fuori dal frigo la teglia rivestita, versate nel guscio di pasta frolla il ripieno che avete preparato, livellatelo palleggiando la teglia sul tavolo tra le mani e posizionate le strisce che avevate messo da parte, cercando di creare un disegno a rombi lunghi e stretti.
Infornate e dimenticatevi la pastiera per un paio d’ore, o fino a quando non vedrete che la pasta frolla ha preso un bel colore dorato e il ripieno si è scurito un bel po’ (dovrebbe essere una tonalità media di marrone).

Spegnete il forno, aprite lo sportello a fessura, metteteci un cucchiaio di legno per bloccarlo e lasciate raffreddare la pastiera dentro per una ventina di minuti per farla asciugare bene. Se volete spolverarla con lo zucchero a velo, fatelo adesso, in modo che si formi una deliziosa crosticina bianca che quando scomparirà (dopo due o tre giorni) vi segnalerà che la pastiera è pronta per essere gustata.