Ci ho messo un po’ per scrivere la continuazione del primo post, lo so, ma certe cose richiedono un periodo di decantazione, di riflessione e di assimilazione e in me certi discorsi sul percepire non erano ancora chiusi. Abbiamo già parlato di quanto olfatto e gusto siano connessi, e di come l’olfatto ci coinvolga in maniera più emotivamente pericolosa della vista, chiedendoci maggiore partecipazione.
percezione sensoriale
Oggi vorrei aggiungere un altro elemento che spesso è alla base dei fraintendimenti, quello *culturale*. È sicuramente capitato a chiunque di esprimere un pensiero che sul momento ci è sembrato semplice e ben narrato ed invece siamo stati fraintesi. Colpa del linguaggio? Forse, ma forse anche colpa del sostrato culturale di riferimento che avevamo in comune con chi ci ascoltava.
Ogni volta che penso a un oggetto lo visualizzo, un odore lo immagino, per non parlare poi del sapore di un cibo: il solo evocarlo mi provoca un eccesso di saliva, il corpo già immagina che dovrà mangiarlo di lì a poco e si prepara, facendo affluire maggiori quantità di saliva in bocca. Questi meccanismi emotivi sono alla base del successo degli ultimi anni, della fotografia di food (prodotti e preparazioni) che agisce sul desiderio con il potere immenso e coinvolgente del metatesto.
Il desiderio: motore immobile del sentire, esaltatore di sapidità vitale. Desidero, dunque sono.

Cosa desidero? Qualcosa che posso immaginare, quindi di cui ho già fatto esperienza o che comunque non dista molto dal mio setting culturale, e qui il cerchio si chiude.
Un senegalese difficilmente potrà desiderare dei sardoni in savor come li preparava mia nonna triestina – non possiede il sostrato culturale adatto – né io riuscirei a desiderare un piatto di carne di renna, molto usata in Lapponia. La proposta di una tale preparazione non mi susciterebbe emozioni e quindi nemmeno desideri. Quindi primariamente la cultura mi serve da filtro, si collega direttamente all’istinto e lo connota.

David Le Breton scrive: “Le percezioni sensoriali sono in prima istanza la proiezione dei significati sul mondo: sono sempre una valutazione, un’operazione che delimita le frontiere, un pensiero in atto sull’ininterrotto flusso sensoriale in cui l’uomo è immerso. I sensi non sono *finestre* sul mondo, *specchi* che registrano le cose in modo differente alle culture e alle sensibilità, bensì filtri che trattengono nella loro rete soltanto ciò che l’individuo ha imparato a mettervi o ciò che egli cerca, appunto, di identificare mobilitando tutte le proprie risorse.”
C’è, nel percepire, un’intenzionalità razionale, ovvero faccio attenzione a quello che sento, oppure non intenzionale, ovvero sento anche ciò che non voglio, percepisco caldo o freddo o alcune sensazioni tattili che non cerco. Istinto e cultura si uniscono in una voce assonante, sincretica, e ci portano a cercare ciò che ci fa stare bene o che ci stimola. I sensi sono principalmente dei traduttori che interpretano per nostro conto il mondo che ci circonda e ce ne forniscono una possibile versione.
L’elemento culturale si veste di parole con il linguaggio, un abito che quasi sempre definisce gli spazi. Avete mai provato a descrivere qualcosa che vi coinvolge emotivamente/sentimentalmente/sensualmente? Possiamo dare solo una vaga idea di ciò che contengono la mente e il corpo e dovremo mettere in campo tutte le abilità descrittive per chiudere in un solo significato una cosa così multisfaccettata, colorata e complessa. Un’impresa quasi impossibile. In realtà la sensazione si può trasferire – se il mio interlocutore ha un universo di riferimento simile al mio – attraverso l’uso di similitudini che agiscano sul trasferimento di un’emozione.
“Mi sono sentito come quando aspetti dietro una porta e non sai quando verrà aperta né quanto aspetterai”. Tutti possiamo comprendere quella sensazione, che è un misto di attesa fremente, nervoso, ansia, una piccola dose di pericolo e di allerta.
“Ho messo in bocca la prima forchettata e mi sono ricordato di quando andavo in campagna con mia nonna a raccogliere erbe selvatiche in primavera”; un misto di tempo lento, disteso davanti senza fretta, noia, benessere, attenzione alle piccole cose, odori primaverili, curiosità bambina, cose da imparare, etc.
Un altro strumento descrittivo che ci pone in contatto con le emozioni allargando le strette maglie del vocabolario è la sinestesia, che attraverso l’unione di due campi sensoriali diversi mette altre frecce al nostro arco. Nell’esempio che ho fatto prima io posso gustare l’idea della parmigiana di melanzane (che è il mio piatto preferito) anche solo pronunciandola, causando una reazione fisica a un’immagine evocata. Gusto e vista (mentale) e fonemi si sono uniti a creare un contesto che acquista dentro di me un significato inequivocabile: “magari!”.
Il linguaggio e la consuetudine sono strettamente connessi.
Sempre Le Breton racconta l’esperienza di un ricercatore venuto a contatto con le popolazioni Inuit, che si muovono su grandi distese di ghiaccio bianco tutto l’anno, e hanno nel loro vocabolario più di una decina di modi di identificare il colore bianco del pack. A un occidentale le sfumature non saranno nemmeno percepibili, mentre per un autoctono sono essenziali. La consuetudine e i riti stabiliscono altri livelli di linguaggio relativi all’acquisizione di informazioni di ciò che proviene dai sensi e si arricchiscono con l’esperienza.
Nell’analisi di prodotto esistono dei “vocabolari ufficiali” che anche se composti da parole che sembrano le stesse di uso comune, in realtà significano cose specifiche. Per esempio “fruttato” nella descrizione del vino vuol dire “che ricorda la frutta”, mentre nell’olio extravergine si riferisce a una caratteristica olfattiva che indica “il frutto dell’oliva al giusto grado di maturazione”, e si valuta in relazione alla sua intensità (leggero/medio/intenso).
L’idea che ci sono tanti vocabolari, tante lingue straniere dentro la mia lingua madre e che io le debba imparare è stato uno dei motori più potenti della mia curiosità verso il cibo. I dettagli non servono al consumatore, ma bisogna essere consapevoli di cosa la consuetudine linguistica legata a ogni prodotto ci comunica.
Usate i sensi, divertitevi, mangiate con le mani, annusate sempre tutto ciò che metterete in bocca come fareste con un amante prima di baciarlo, e vivrete un’esperienza di cibo davvero articolata. Dopo che avrete scelto, lasciate andare il corpo, che sa, che si emoziona.
Buona esplorazione!