Se avete letto il post sui Molini del Ponte che ho pubblicato qualche settimana fa saprete già che l’articolo che segue scaturisce direttamente dalle chiacchierate che ho fatto con Filippo Drago, dalla sua passione per i molini a pietra, e dalla scoperta che i molini a pietra non sono tutti uguali, a partire dal tipo di pietra che si utilizza, e che di conseguenza anche le farine che se ne ottengono, a parità di cereale molìto, hanno caratteristiche diverse tra loro.
farina di grano antico biancolilla
Per la precisione, esistono due tipi di molini a pietra, quelli antichi e quelli moderni. Entrambi si basano su due dischi di pietra orizzontali messi uno sull’altro, uno fisso e l’altro rotante. La parte centrale dei dischi di pietra rompe i chicchi di grano grossolanamente, la parte periferica produce la farina.
I dischi hanno dei canali incisi a raggio verso l’esterno, che servono per far fuoriuscire le farine, e delle incisioni meno profonde, appena accennate, tra un canale e l’altro, che vengono chiamate righe, che sono un po’ come le lame di tanti coltelli, che servono a ridurre i chicchi in farina. Le righe sono molto importanti, perché se si consumano troppo la farina viene schiacciata e quindi bruciata invece che “tagliata”.
molino a pietra antica
scatti fotografici di Filippo Drago
la differenza decisiva tra molini a pietra antica e moderna consiste nel tipo di pietra utilizzata: in quelli moderni la macina è fatta con un agglomerato di smeriglio, selce e magnesite. Il maggior produttore italiano dei molini a “pietra moderna” è una ditta che si chiama Partisani. Sul sito la ditta afferma che questo tipo di pietra agglomerata è più duro e più duraturo della pietra vera e propria. Le macine (potete vederne una qui) sono chiuse in una struttura di metallo ed hanno più o meno l’aspetto che vedete su questa pagina. Questa pietra agglomerata, oltre a non necessitare di rabbigliatura (tra poco vi dico cos’è), è garantita per macinare circa 700/1000 tonnellate di cereali o legumi; raggiunto questo quantitativo bisogna riportarla alla fabbrica per ripristinare i canali (operazione che può essere fatta al massimo 4 o 5 volte).
I molini antichi invece sono fatti con la Sèlce molare; una roccia, cito dalla Treccani, “a struttura vacuolare o cavernosa, costituita da quarzo o calcedonio”. Di solito questa pietra proviene dal nord della Francia, e precisamente da un paese che si chiama La Fertè-sous-Jouarre. Nel caso voleste approfondire (molto auspicabile :-)) ho trovato qualcosa di interessante su questo libro del 1836, tradotto appunto dal francese, che si chiama “Storia naturale dei minerali”.

La pietra antica, a differenza di quella moderna, ha bisogno di molta cura; per esempio va “rabbigliata”, cioè bisogna periodicamente (di norma è un’operazione che va fatta un paio di volte all’anno, anche a seconda di quanto grano si molisce) ricreare i canali scolpiti nella pietra, e le righe, che molto lentamente si consumano. Il modo in cui vengono scolpite le righe dà una vera e propria impronta alla farina; ogni mugnaio imprime la sua impronta alla propria farina; non c’è un modo migliore o peggiore per farlo, solo diverso e peculiare (non vi ricorda un po’ i formaggi bradi di cui parliamo spesso?).

Ho trovato due bei video che mostrano come viene fatta la rabbigliatura, che è una vera e propria arte, qui, e qui. Come potete capire guardandoli, è un’operazione che richiede molta esperienza, ed è anche da questo che scaturisce la differenza tra un molitore e l’altro, e quindi tra una farina e l’altra. Da cittadina mi sembra assurdo, ma solo adesso mi rendo conto quanto un piccolo particolare come la profondità di un solco abbia un’importanza enorme nella produzione del cibo (e non solo per quanto riguarda i molini, come chi segue la rubrica sull’agri-cultura già sa).
In tutti i tipi di macinazione a pietra sono necessarie poi anche altre macchine, ad esempio prima di macinare a pietra è importantissima la pulitura e la selezione delle granaglie, perché quello che entra tra le macine lo ritroviamo poi nella farina. Quindi e’ necessario, oltre alla selezione per grandezza e per speso specifico, ricorrere anche alla selezionatrice ottica (o “color sorter”) la quale riesce a scartare anche chicchi di eguale grandezza e peso specifico apparentemente ottimali; ad esempio la segale cornuta è un tipo di grano velenoso, ma per fortuna è nera, quindi la selezionatrice ottica riesce ad eliminarlo con l’aiuto di una telecamera e di un software; identifica le particelle di colore non conformi, e le elimina con un getto d’aria.
Il grano va poi pulito anche nel vero senso della parola, cioè va spazzolato molto bene per togliere terra e altri residui (Filippo mi ha raccontato che dopo la pulitura le spazzole sono tutte annerite).
molino a pietra Filippo Drago
scatto fotografico di Filippo Drago
Oltre alla pietra differente che viene utilizzata, e alla struttura che la racchiude, che in un caso è di metallo e nell’altro (di solito) di legno (anche se esistono delle vie di mezzo, tipo la macina dei Floriddia che è a pietra antica ma racchiusa in una struttura di metallo), la differenza tra i due tipi di molini sta anche nel fatto che quelli a pietra antica (formata da un monoblocco centrale, ottagonale, e otto pietre incastrate attorno ad esso) lavorano molto lentamente, cioè fanno pochi giri al minuto; in pratica si cerca di ricreare tecnologicamente il numero di giri che veniva impresso alla macina dall’acqua dei torrenti che scorrevano).
In questo modo il mulino a pietra antica riesce a mantenere grano e farina a una temperatura molto bassa (dai 34 ai 36 gradi). Questo particolare è molto importante, perché se il grano si scalda le vitamine e altri nutrienti vanno persi, oltre al fatto che la farina irrancidisce più facilmente.
Per fare un esempio la macina (a pietra antica) del molino dei Floriddia di cui vi ho parlato spesso, ha un diametro di 1 metro e 30 centimetri e fa 94 giri al minuto. In questo modo riesce a macinare 2 quintali di grano ogni ora, e le farine raggiungono una temperatura tra i 28 e i 31°C.
Le macine di Filippo Drago hanno un diametro di 1 metro e 20 centimetri; fanno 100 giri al minuto e macinano circa 1 quintale e mezzo di grano duro ogni ora. Le farine raggiungono una temperatura di circa 36°C.
Un molino a pietra moderna di Partisani, con una macina di un metro di diametro, fa circa 400/500 giri al minuto (!) e riesce a macinare il doppio, cioè 4 quintali di grano ogni ora. Capite bene che in questo modo la farina si scalda molto (ma molto) di più perdendo irrimediabilmente molte delle sue proprietà nutritive.
Molti professionisti non vedono di buon occhio i molini antichi, sostenendo che la pietra si consuma e va a finire nella farina. Filippo ribatte che è indubbio che le pietre si consumino, tanto è vero che va fatta appunto la rabbigliatura, ma che intanto si logorano talmente poco che l’eventuale polvere di pietra che potrebbe finire nella farina è infinitesimale, e che comunque anche le pietre moderne si consumano, come si può leggere anche su questa pagina del sito Partisani (nella quale peraltro si sostiene l’assoluta superiorità tecnica delle pietre moderne), e anzi che addirittura anche i molini a cilindro perdono la rigatura periodicamente (trasferendo metallo nelle farine?!).
molino a pietra antica - Filippo Drago
scatto fotografico di Filippo Drago
Altra cosa da sapere riguardo la macinazione del grano, è che prima di macinarlo bisogna apportargli una certa umidità facendolo passare in una macchina che si chiama bagnagrano (un tempo, quando questa macchina non esisteva, l’umidità si apportava manualmente spruzzando il grano in modo approssimativo). La macchina bagnagrano per prima cosa controlla elettronicamente l’umidità già presente, e poi aggiunge quella desiderata, a seconda del tipo di macinazione che si intende fare, in modo da abbassare ulteriormente la temperatura. Con i molini a pietra antica basta un’umidità massima del 13%, mentre con quelli moderni, che girano più velocemente e quindi creano più attrito, il grado di umidità deve essere più alto (ad esempio nei mulini a cilindri ci deve essere più del 16% di umidità).
Meno umidità si riesce a dare al grano, meglio è: il motivo per il quale il grano deve essere più asciutto possibile è che l’umidità attiva la germinazione dei chicchi; se l’ambiente è umido, dopo il riposo canonico di 8-10 ore comincia a spuntare la punta del germoglio, a quel punto la farina può irrancidire, quindi il germe va necessariamente rimosso. Nell’immagine qui sotto potete vedere la struttura del chicco di grano, per capire bene com’è fatto e dove si trova il germe di cui sopra.
chicco di grano
immagine presa a prestito da Wikipedia
Una delle cose che più mi ha incuriosito della chiacchierata che ho fatto con Filippo è stata che le farine risultanti dalla macinazione a pietra antica dei grani duri sono diverse da quelle macinate in modo più “convenzionale” (dove convenzionale per lui spazia dal mulino a cilindri a quello a pietra moderna). A parte il colore e il profumo, lui trova che la granulometria delle farine provenienti da molini a pietra antica sia meno vitrea e spigolosa e più “farinosa”.
Se avete letto gli altri post di questa rubrica ormai saprete che per legge il grano tenero macinato è denominato “farina”, mentre quello duro “semola”, proprio in virtù della diversa sensazione al tatto. Filippo sui suoi pacchi scrive “farina di grano duro”, proprio per sottolineare questa particolarità, cioè una farina integra e grezza, non “integrale” e non “integrata” (cioè raffinata e poi mischiata con la crusca e il germe).
Ecco fatto, abbiamo aggiunto qualche altra tessera al puzzle delle cose da sapere sul grano e sulla sua macinazione; spero siano utili a voi come lo sono state a me… anche se più studio più mi sento confusa e mi sembra di sapere il 2% di quello che vorrei. Speriamo sia una fase di passaggio, ché ho una curva di apprendimento che cammina piatta per un bel po’, e poi fa un balzo all’improvviso. Quando lo fa! :-D