Voi ve lo ricordavate che oggi avrei dovuto pubblicare il post sul babà consapevole, per chiudere l’iniziativa che abbiamo portato avanti nei giorni scorsi con i compagni di blogger? Io no. Appunto. Il mio neurone solitario continuava a dirmi che avevo tutto il tempo di fare le mie belle prove di impasto, ché tanto dovevo pubblicare solo lunedì. Quindi prendetevela con lui. Oppure abbiate pietà di una povera mamma indifesa, che appena tornata dal tour di Torino ha dovuto affrontare una casa imbizzarrita.

Càpita anche a voi tornare da un breve spostamento e scoprire che un pazzo deve *evidentemente* essere entrato in casa mentre non c’eravate, aver versato qualcosa tipo gesso nell’impianto idraulico di tutta la casa rendendo inutilizzabili tutti gli scarichi, aver gettato oggetti non ben identificati nello scolo del terrazzo sapendo che al nostro ritorno ci sarebbe stato il diluvio universale e che il suddetto terrazzo sarebbe diventato una piscina con la precisa volontà di defluire in casa, e non contento abbia anche manomesso il balcone della camera da letto perché l’acqua allagasse la stanza del sonno verso le undici e mezza della sera?
È evidente: io e l’acqua dobbiamo risolvere qualcosa. Nell’attesa che ci decidiamo a sederci a tavolino e fare un discorsetto, ho pensato che intanto che aspettate la ricetta del babà consapevole (che pubblicherò lunedì) potevo mostrarvi una delle nuove ricette che ho inserito nel libro. Prima però mi cospargo il capo di cenere e chiedo scusa a Teresa, Rossana, Pasqualina (che mi ha addirittura fatto recapitare a casa le formine per i babà, che non riuscivo a trovare), Sara, Caris, Tinuccia, Assunta e Daniela per la mia sbadataggine, e magari anche a Luciano Pignataro che stamattina avrebbe dovuto pubblicare la mia ricetta. L’ho fatto piccolo il casino :-P
Questo piatto mi è stato suggerito dallo chef contadino che ben conoscete, e che proprio ieri ha avuto una bellissima soddisfazione. Avete mai sentito parlare di Edoardo Raspelli? È un critico gastronomico molto importante e serio, forse la massima autorità italiana per quello che riguarda il cibo. Beh, questo signore qualche giorno fa è stato al ristorante di Pietro, e ieri lo ha recensito sulla Stampa (il cartaceo, ma vi linko la versione web) con parole che definirei molto molto incoraggianti (e mi sto tenendo bassa).
Inutile dirvi quanto il nostro chef sia felice e sbalordito dall’articolo… e la cosa più bella e importante è che se lo conosceste di persona capireste subito quanto sia lontano dal “salirsene di capa” come si dice a Napoli, perché è uno degli uomini più umili e semplici che esistano al mondo (e so già che si arrabbierà moltissimo per tutte queste cose belle che ho scritto di lui). Vi dico solo che quando ieri l’ho chiamato per complimentarmi con lui non ha fatto altro che parlare di come possiamo diffondere le conoscenze che abbiamo alla gente comune e in difficoltà, e della necessità di portare in giro il *mio* libro!! Hai voglia a dirgli che sarebbe il caso di riposare un po’ (ha appena avuto un problema di salute che ci ha fatto molto preoccupare, per fortuna adesso è sulla via della guarigione!); lui non fa che dire: “Sonia, io non mi posso fermare!!! C’è troppo da fare!! Devo aiutare la gente! I miei contadini…”.

Vabbeh, la finisco se no mi commuovo. Intanto beccatevi questa ricetta semplice, pratica e pure tradizionale, che poi è anche la prima ricetta in assoluto di pesce qui sul pasto nudo. Ovviamente il pesce meriterebbe tutto un discorso a parte in tema di consapevolezza. Anche la fauna ittica ha una sua stagionalità: nelle stagioni in cui i pesci si riproducono non dovrebbero essere pescati.
In italia le alici più famose e buone sono quelle di Menaica, presidio slow food. Si pescano soprattutto all’inizio della primavera, quando i piccoli pescherecci ricominciano a uscire in mare (durante la stagione invernale sarebbe troppo pericoloso e difficile). Molti sostengono che le migliori alici si pescano tra maggio, giugno e inizio luglio perché sono piene di uova e quindi hanno carni sono più pregiate. Credo però che sia molto più importante al momento dare la precedenza all’aspetto etico che a quello del gusto.

C’è poi da dire che alcune specie sono in estinzione a causa della pesca selvaggia, come il tonno, e che purtroppo molti pesci che amano le profondità possono essere contaminati da metalli pesanti (come il mercurio) se l’ambiente nel quale vivono ne è inquinato.
Da segnalare anche il rischio anisakis, una larva che ormai si trova in moltissimi tipi di pesce (tra cui il pesce azzurro), molto pericolosa per l’uomo. Per non rischiare è molto meglio cuocere bene il pesce (io lo adoro crudo, sigh) oppure surgelarlo per almeno 72 ore. In questo caso le alici sono ben cotte quindi non avrete alcun problema.

Ingredienti:
500 grammi di alici
150 grammi di pane raffermo
acqua quanto basta
1 uovo felice
1 spicchio d’aglio
un bel mazzetto di prezzemolo fresco
pangrattato quanto basta
sale marino integrale
olio extravergine d’oliva

Per prima cosa tagliate il pane secco a dadini (di solito si usa solo la mollica, ma a me piace mettere anche un po’ di scorza) e mettetelo a mollo in un po’ di latte (se preferite potete usare anche semplicemente acqua) fino a quando non diventerà bello morbido. Poi strizzatelo bene e mettetelo in una ciotola grande.
Per pulire le alici stringete la testa nel punto dove si attacca al corpo tra due dita e tirate via le interiora con un dito, in un solo movimento. È una cosa molto semplice, ma se non lo avete mai fatto fatevi mostrare il modo giusto dal vostro pescivendolo (o dalla nonna!). Aprite poi l’alice a libretto, asportate la lisca tirando un po’ (se l’alice è fresca la lisca tenderà a rimanere attaccata alla carne, altrimenti verrà via molto facilmente) e togliete anche la pinnetta superiore.
Man mano che pulite le alici mettetele in una grande ciotola piena di acqua nella quale avrete sciolto una manciata di sale grosso, in modo che spurghino il sangue.
Lasciatele in acqua una decina di minuti, poi scolatele bene, tritatele a coltello (dovete ottenere più o meno la texture della carne macinata) e mettetele nella ciotola insieme al pane strizzato.
Aggiungete l’aglio tagliato a fettine piuttosto spesse, il prezzemolo a foglie intere, un po’ di sale e il tuorlo d’uovo. Se il composto dovesse risultare troppo asciutto potete aggiungere un pochino di albume. Amalgamate bene tutto prima con una forchetta e poi con le mani.
Lasciate riposare una mezz’oretta in frigorifero, in modo che il composto si addensi un pochino.
Formate tante polpettine della grandezza di una piccola noce e rotolatele nel pangrattato.
Fate scaldare due dita d’olio in una padella di ferro con i bordi svasati fino a quando l’olio brillerà. Provate a infilare la coda di un cucchiaio di legno nell’olio; quando partiranno tante bollicine dal cucchiaio verso l’esterno sarete pronti per friggere. Adagiate nell’olio un po’ di polpettine alla volta. Non esagerate altrimenti la temperatura dell’olio si abbasserà, le polpettine lo assorbiranno e la vostra frittura sarà unta e pesante da digerire.
Tirate fuori le polpettine quando saranno belle dorate e croccanti, usando un cucchiaio di legno forato o una pinza per fritti (se usaste l’acciaio abbassereste la temperatura dell’olio).
Servite le polpettine con una bella scodella di yogurt intero bianco, magari aromatizzato con un po’ di zenzero fresco, di buccia di limone grattugiata o di paprika. Se volete decorare un po’ il piatto potete friggere qualche fogliolina di prezzemolo ben asciutta (pochi secondi!). Le foglioline ci stanno bene esteticamente e secondo me sono anche buonissime :-)